martedì 26 luglio 2011

Europei 2013 in Italia

Europei del Gruppo B, cui appartiene il Blue Team assieme a Gran Bretagna, Spagna, Danimarca e Repubblica Ceca più la vincente degli Europei del Gruppo C previsto per il 2012. Bella cosa, poter vedere football a casa nostra, e con buone squadre. Non si sa ancora dove si svolgeranno le partite ma non è difficile credere che verranno scelte alcune delle capitali del football italiano, come sarebbe anche logico.

martedì 19 luglio 2011

La UFL sposta la stagione

Roba di oggi, martedì 19 luglio. La UFL, tramite il commissioner Michael Huyghue, ha deciso di spostare la partenza della stagione dal 13 agosto a metà settembre. Le motivazioni non sono chiarissime: si parla della situazione di blocco della NFL e della NBA che ha differito la chiusura di alcuni contratti impedendo ai vertici di farsi trovare puntuali all'appuntamento con la nuova stagione, ma non si comprende bene di cosa si tratti, se non nel caso delle tv: Versus e HDNet, vicine all'accordo con la UFL, non se la sentivano di chiudere il contratto relativo alla trasmissione delle partite alla domenica perché in caso di fine del lockout della NFL l'audience sarebbe stata irrisoria. Huyghue ha affermato - al di fuori della lettera ufficiale scritta ai tifosi - che la UFL ha perso 100 milioni di dollari nei due anni di attività, ed è disposta a sostenere una perdita di altri 50, ma a questo punto è obbligatorio invertire la tendenza, e non è certo con un ulteriore spostamento del kickoff che si potrà sfruttare il ritardo della ripresa della NFL. Il pensiero va ovviamente a tutti i giocatori e i tecnici, tra cui il "nostro" Brock Olivo: ora andranno tutti in vacanza per due settimane a spese della lega, come se già non ci fossero altri problemi. Coraggio

venerdì 15 luglio 2011

Italian Super Bowl sul sito di Raisport

Si trova a questo indirizzo. Mi scuso con i lettori, ma dopo la partita non ho avuto assolutamente tempo di scrivere cose sensate. E preferisco non scrivere nulla che scrivere solo per riempire spazi. Grazie.

sabato 9 luglio 2011

venerdì 8 luglio 2011

A proposito di Football&Texas

Da parte di Alessandro Pittaluga, un appassionato di football, un appassionato vero, che ha GIA' finito il libro. Lo ringrazio molto, moltissimo.
"Ciao Roberto, ho finito ora di leggere il primo libro del tuo progetto.
Solo una parola: GRAZIE.
Per avermi insegnato una vagonata di aneddoti, per avermi fatto entrare in un campus americano (anzi, texano) e fatto capire come vivono la loro identità di studenti, per avermi fatto conoscere meglio Jerry Jones, per aver risvegliato piacevolissmi ricordi con la USFL, gli Oilers e la loro Run and Shoot (una delizia capire com'è nata e chi l'ha inventata, davvero chicche favolose), per avermi spiegato com'è nato il football in Texas e le varie rivalità tra HS e College.
Per avermi ricordato gli Hebert, i Kelly, i Fusina, i Walker e quella lega estiva che mi ha fatto innamorare a questo sport insieme agli Squali Genova e il football italiano.
Non finirò davvero mai di ringraziarti, forse neanche tu immagini il peso che un opera del genere può avere su noi appassionati).
Speriamo il tuo progetto possa andare avanti, almeno altri dieci libri in modo da avere un'enciclopedia sul mondo (non solo sportivo, anzi) americano".

La storia di Jaycen Taylor


Negli Stati Uniti la menano un po' troppo con 'sti premi individuali. L'impiegato del mese, il gatto della settimana, il musicista del triennio. Un tentativo costante di dare un contrassegno al passare del tempo, abbinandolo a persone e personalità per conferirgli un volto. È difficile però negare che Jaycen Taylor, il running back dei Panthers Parma nato a Hawthorne (Los Angeles) il 24 agosto 1987, non si meritasse nell'aprile del 2010 il premio Comeback conferitogli dalla Methodist Sports Medicine, un complesso di centri privati di ortopedia con sede a Indianapolis e dintorni. Nel giro di poco più di due anni, infatti, Taylor aveva subito una frattura al braccio sinistro (settembre 2007) e la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro (agosto 2008) e si era ripreso da entrambe, rientrando in campo con efficienza immutata, ed è poi questo che comeback vuol dire, senza nemmeno addentrarci nelle farneticazioni retoriche secondo le quali gli atleti tornano sempre "più forti di prima" (non succede praticamente mai, tra l'altro). Taylor aveva giocato a Purdue, l'università dell'Indiana con sede a West Lafayette, una novantina di chilometri a nord-ovest di Indianapolis, e in quella sera di aprile la sua carriera al college si era già conclusa da cinque mesi. Con un'ultima partita memorabile: nel "derby" contro Indiana, una vittoria per 38-21, aveva corso 20 volte per 110 yards e ricevuto un altro premio, il Pop Doan, che viene dato ogni anno al miglior giocatore di Purdue di attacco, difesa e special team nella sfida contro gli Hoosiers. La Nfl non aveva spazi e opportunità per lui, troppo esile e sospetto per via del ginocchio, e allora ecco, a dodici mesi distanza da quel premio Comeback, l'Italia, i Panthers, le 959 yards corse in 104 tentativi (11.1 tentativi a partita, 9.1 yards a corsa), 17 touchdown su corsa e i quattro su ricezione, il playing for qualcosa di più di quella pizza cui sono ormai associati oltreoceano i Panthers, con tutto il bene promozionale - anche in termini di merchandising - che ne deriva e tutti i rischi di stereotipo. Taylor da noi si fa in realtà chiamare Spears che sarebbe il cognome della madre, anche se le ricerche confermano che la signora risulta essere Mary Pierce e la cosa comincia ad attorcigliarsi in maniera troppo complicata per la brevità forzata di questo articolo. Jaycen, che si fatto si pronuncia come se fosse "Jayson" o "Jason" e può causare ulteriore confusione in chi non lo conosca, viveva ad Hawthorne e andò al liceo alla Leuzinger, lì a pochi chilometri, passando poi ad un junior college, il Los Angeles Harbor, perché i suoi voti non erano sufficienti alla piena qualifica per la borsa di studio. Le statistiche al Jc contano poco, perché ottenute contro nani e ballerini, ma l'innalzamento dei voti, che lo portò poi al diploma in sociologia a Purdue, fu reale, e nella primavera del 2006 Jaycen poté finalmente entrare in un college "vero", proponendosi con brillantezza alla prima stagione con i Boilermakers, nel cui attacco, volto prevalentemente ai lanci secondo la filosofia di coach Joe Tiller, ebbe 677 yards, secondo solo al titolare Kory Sheets, quello che al suo arrivo lo aveva sottoposto a rituali schegge di nonnismo quali versargli di nascosto sale nella Coca Cola e rifilargli burro semi-sciolto al posto del gelato. Era già tanto che Taylor avesse giocato running back, del resto: solo a metà settembre, dopo la quarta partita della stagione, lo staff aveva deciso di mantenere nel ruolo di running back invece di spostarlo a safety, idea balenata durante il precampionato quando ci si era accorti che i defensive back dignitosi erano pochi e inesperti. Nel 2007 Taylor si ruppe il braccio alla seconda partita, e rientrò dopo cinque gare di assenza mettendo assieme 576 yards, ancora secondo alle spalle di Sheets, e ottenendo anche il primato personale con 157 yards contro Northwestern. Nel 2008 era destinato ancora ad essere seconda scelta - per modo di dire, dato l'alto numero di portate di palla - dietro a Sheets, ma si distrusse il legamento crociato anteriore e fu costretto a saltare tutta la stagione e la sessione primaverile di allenamenti del 2009, prima di riprendere proprio nell'agosto del 2009, il suo quinto anno di college. Non è un errore: gli anni di gioco concessi per regolamento sono quattro, ma la Ncaa, che sovrintende allo sport universitario, può concedere una o più stagioni aggiuntive per circostanze particolari, la più frequente delle quali è proprio l'infortunio. Ecco perché il Comeback, il Ritorno del 2009 fu così apprezzato e gradito: Jaycen pareva un miracolato anche solo ad essersi ripreso in relativa fretta, ed è per questo che numeri relativamente modesti come le 387 yards corse (ma a 5.5 a botta), le 11 ricezioni (48 in totale in tre anni, non tantissime…) servirono comunque a scolpire di lui un bel ricordo tra i tifosi e lo staff, che nel corso degli anni aveva apprezzato la sua disponibilità a rendersi utile in ogni maniera, anche negli special team, in cui eccelleva sia in fase attiva sia in fase… passiva, vedi il punt bloccato a Indiana il 17 novembre del 2007. Visto al college anche con chiome particolarmente creative, a Parma Taylor/Spears è diventato, citando le parole del giornalista Stefano Manuto, «uno di noi, lo vedi girare in bicicletta», che è poi una delle chiavi per l'ingresso in città non solo con il corpo, ma anche con lo spirito. Resta il dettaglio, di primo piano, dell'Italian Super Bowl di sabato sera, da vincere, in casa.

La storia di Jordan Scott


Chiedevano tutti quella cosa, e dava fastidio. Dieci giorni in cui nessuna linea d'attacco poteva aprirti la strada valevano, per alcuni, più di quattro anni di grandi prestazioni e soprattutto di comportamenti da studente universitario, dunque saltuariamente sciocco, ma certamente non criminale.
L'istinto da Animal House era saltato fuori un sabato sera di dicembre del 2007, dopo una festa durata forse troppo. Jordan Scott non aveva sonno e al ritorno verso il collegio studentesco di Colgate University dove alloggiava entrò con un compagno di squadra in un altro edificio, la Russell House, che ospitava studentesse. I due, troppo allegri, cominciarono a percorrere i corridoi e dare piccole spinte alle porte delle camere. Dopo un po' ne trovarono una aperta, entrarono e nel buio cominciarono a rovistare in un cassetto. Ma la stanza non era vuota: c'erano due ragazze che al rumore si svegliarono e cominciarono a urlare. Scott e il compagno si resero conto subito - prima, evidentemente, lo spirito cazzeggiatore aveva avuto il sopravvento - di avere commesso una stupidaggine, ma era troppo tardi. Il giudice li condannò a 21 giorni di prigione e un anno di condizionale, riducendo però la sentenza a soli (?) 10 giorni da trascorrere non in un carcere ma in una sorta di riformatorio per ventenni, senza sbarre e con il semplice obbligo di residenza. Un'onta per un ragazzo come Scott che da quel momento dovette subire le prese in giro dei tifosi avversari e le insinuazioni dei soliti pavidi-anonimi sul web e si sentiva però così diverso dal personaggio che alcuni dipingevano: scriveva poesie e racconti brevi, stava lavorando al diploma in inglese con specializzazione in scienze umanistiche e aveva sempre detto di voler diventare qualcosa più di un "semplice" giocatore di football, perché «non voglio fermarmi a quello», parole dette al New York Times in un ritratto dell'ottobre 2008. Ritratto che, correttamente, poneva l'arresto e la morbida detenzione in un angolo e non come nucleo centrale dell'esistenza di Scott, fermo restando che la maggioranza delle persone, anche a 20 anni, non si fa indurre nelle stupidate in cui il ragazzo era cascato. Ma il NY Times si era interessato a lui per altro: cioé per le sue eccelse doti di giocatore, unite al buon carattere e agli interessi elevati in campo accademico, compresa quella "scrittura creativa" che è oggetto misterioso ma fonte di lucro, almeno in Italia, per laboratori serale con fighetti a insegnare e 40enni ad adorare. In campo però Scott passava dai ditirambi ai frontini, nel senso di stiff arm, il braccio teso con il quale il portatore di palla tiene lontano l'avversario che lo intende placcare: zero poesia, anzi una carnalità vigorosa che gli diede, con la maglia dei Raiders, statistiche mai viste. Letteralmente: dopo i rituali quattro anni, Scott uscì con 5621 yards, record assoluto per Colgate e quinto di tutti i tempi nella Ncaa; nel 2007 ebbe 1875 yards, primo assoluto nella Ncaa; ed ebbe otto partite con almeno 200 yards. Anche se il livello della competizione era un gradino al di sotto di quello dei grandi college, Scott aveva doti non incastrabili in localizzazioni gerarchiche: era un runner istintivo ma tosto, di quelli che all'arrivo del difensore provano con le cattive maniere di scrollarserlo di dosso, prima che con le buone. In più, come sottolineò il suo coach Dick Biddle, «nell'ultimo quarto di gioco rende più che nel primo, grazie anche alla perfetta preparazione fisica». Non rapidissimo (ma agile di gambe), non sgusciante, non eccellente nel riconoscere i pericoli quando restava a proteggere il quarterback sui lanci, aveva una fisicità tale che Biddle, dopo averlo visto all'opera nei primi allenamenti nel 2005, aveva pensato di spostarlo a linebacker, insomma in difesa. «E questa - disse poi il coach al Times strizzando l'occhio per l'imbarazzo - sì che sarebbe stata una grande idea!». Che però non fosse arrivato a Colgate con tanta pubblicità era vero. Cresciuto nella zona tra Washington e Baltimore, a 2 anni si era gravemente ustionato le mani poggiandole per sbaglio su un piano di cottura rovente, e per qualche settimana la madre Stacey Scott-Hill aveva temuto conseguenze gravi per l'uso degli arti. Tutto si era sistemato e Jordan a 7 anni aveva cominciato a giocare a football, trovandosi poi a 10 a dover... dimagrire per poter rientrare nella categoria di peso prevista per i suoi coetanei. Alla DeMatha High School di Hyattsville, nel Maryland, poco distante da casa, era stato ottimo sia come running back sia come linebacker, e stiamo parlando di un liceo tra i più rinomati degli Usa sia per il basket (il coach era il leggendario Morgan Wootten) sia per il football. La non esaltante velocità di base però gli aveva precluso offerte di borse di studio da parte di college di primo piano. Cincinnati e William&Mary, a lui graditi rispettivamente per solidità nel football e rilevanza accademica nelle materie umanistiche, prima prospettarono poi ritirarono la proposta, e tra le rimanenti, Georgetown (che nel basket conta molto e nel football conta poco) e Colgate, Jordan scelse la seconda perché più lontana da casa, situata anzi in una parte rurale dello stato di New York, e dunque adatta a chi voleva distanziarsi da amicizie potenzialmente pericolose, di quelle che restando nella zona in cui sei cresciuto non puoi troncare pena l'accusa di alto tradimento. La spinta fondamentale era venuta durante un camp per liceali svoltosi al campo della Maryland University: i Terrapins non erano interessati a lui ma lo era un assistente allenatore di Colgate che, dopo avere spiegato al ragazzo cosa volesse dire 'Gate Football gli fece l'offerta di borsa di studio. Tutta roba di seconda fila, però: al suo primo anno, Scott non figurava nemmeno nell'annuario della squadra perché si era dimenticato di compilare il modulo con i dati anagrafici e le curiosità che gli era stato spedito dall'ufficio stampa. In più, aveva iniziato come terzo running back e membro unicamente degli special team, importantissimi per ogni squadra ma luogo di dannazione per chi sente di valere di più. A metà della terza partita, contro Dartmouth, il titolare Steve Hansen e la sua riserva si fecero male e lo staff mandò in campo Scott, scegliendo come schema uno screen pass, quei passaggi corti nei quali si permette ai difensori di arrivare fino al quarterback che un attimo prima di essere placcato passa al running back che ha così la strada più aperta. Scott conquistò 8 yards ma fu placcato così duramente da finire con le gambe all'aria «tanto che finii su Youtube», disse poi all'Associated Press. La seconda volta che toccò la palla però si divorò 33 yards segnando un touchdown, senza più fermarsi, tra riconoscimenti individuali e record. Troppo lento per la Nfl, adesso è ai Warriors Bologna, con i quali nella regular season ha conquistato 1173 yards in 157 tentativi, una media di 7.5 a portata e 130.3 a gara. È anche lui uno dei motivi per cui i bolognesi possono concretamente sperare di allungare a 11 la serie di vittorie stagionali, e dunque aggiudicarsi lo scudetto: al gioco di lancio di Eric Marty si abbina il robusto gioco di corsa creato da Scott, 24 anni, e dai suoi bloccatori, e quando sei in vantaggio ti mangi anche parecchi minuti avvicinandoti a fine partita.
Ah, mancava una cosa, il nome del compagno di squadra che si intrufolò nella stanza del college con lui: David Morgan. Che lo scorso anno ha giocato a Catania. Ma tu guarda.