Nfl, il punto, come sempre in quattro down, dopo il fuori programma di ieri per il Monday Night Football.
PRIMO DOWN - Avete presente una delle più frequenti frasi fatte dello sport, quella per cui ogni atleta vittima di una infortunio promette di tornare "più forte di prima"? Ecco, forse stavolta quelle parole sono appropriate, a proposito di Adrian Peterson. Che peraltro non risulta le abbia mai pronunciate, e forse non è un caso. Nella sconfitta dei suoi Minnesota Vikings (23-14), domenica, contro i Green Bay Packers, Peterson ha portato palla 21 volte per 210 yard, compresa una strepitosa corsa in touchdown di 82 yard in cui ha resistito ai tentativi di placcaggio (alcuni non irresistibili, va detto) dei difensori avversari. In quella corsa, che si può vedere su YouTube, Peterson ha approfittato dei buoni blocchi iniziali dei suoi compagni di squadra, che gli hanno permesso di arrivare senza essere sfiorato dai difensori fino alla linea di chiusura del down (era un terzo tentativo con una yard da conquistare), poi ci ha messo del suo, con potenza e accelerazione, dando anche - come hanno mostrato le riprese televisive - ripetute occhiate allo schermo dello stadio, situato dietro la end zone, per capire se qualche avversario alle sue spalle gli fosse troppo vicino. Finora, in 12 partite, Peterson ha prodotto 1446 yard in 234 tentativi (6.2 di media!), migliore statistica Nfl, ed ha ancora valide speranze di arrivare a quota 2000. Tutto questo sarebbe di per sé motivo di elogio, ma quel che fa impressione è che poco meno di un anno fa, alla vigilia di Natale del 2011, il ragazzo si era rotto il legamento crociato anteriore e il mediale collaterale in un partita contro i Washington Redskins. Infortuni che rispetto a qualche tempo fa possono venire curati con maggiore efficacia e portare a una ripresa pressoché perfetta, ma si poteva pensare al massimo a una buona stagione per Peterson, non certo alle prestazioni dominanti che ha messo in atto: al di là delle yard guadagnate in assoluto, "AD" (All Day, soprannome datogli dal padre perché "era in movimento tutto il giorno") è nettamente primo nella Nfl per quelle conquistate, come si dice in gergo, dopo un contatto, ovvero dopo un tentativo avversario di placcarlo. Secondo lo studio del sito profootballfocus siamo a quota 919, ovvero più di quelle TOTALI di tutti gli altri running back tranne nove. Ricordiamo che nel 2007, al suo primo anno da professionista, Peterson aveva stabilito il record di yard in una partita, con 296 contro i San Diego Chargers, e la sua carriera è sempre stata quella di un giocatore dal talento naturale, potenza e atletismo fuori dalla norma per un ragazzo di oltre 90 chili, se è vero che al liceo aveva anche corso i 100 metri in 10"33 in favore di vento. I Vikings sono in lotta per i playoff, anche se con scarse possibilità, e devono ancora capire il valore vero del quarterback Christian Ponder, ma possono contare su Peterson. Che è stato paragonato a molti running back di alto valore del passato, uno dei quali è Earl Campbell, ed è curioso che i rispettivi luoghi di nascita, entrambi nella parte orientale del Texas, distino tra loro solo 70 chilometri. Del resto, si sa, l'America è piccola. O no?
SECONDO DOWN - La struttura del mondo sportivo professionistico americano mette ogni club nella condizione di vincere il titolo, a patto che programmi bene e scelga i giocatori giusti, ricordando che nella cerimonia di selezione degli atleti provenienti dall'università la precedenza va data alla squadra peggio classificata nella stagione precedente. Situazione che porta club di prestigio ad attraversare periodi anche pessimi, prima di rinascere se avranno fatto i passi giusti. Inutile ricordare che i Dallas Cowboys vinsero una sola partita su 16 nel 1989, ma identificando i giocatori (e il coach) adatti risalirono presto e vinsero tre Super Bowl tra il 1992 e il 1995. Rinascita magari non esemplare perché troppo rapida, ma significativa di quel che si può ottenere. Bene, nel 2011 gli Indianapolis Colts ebbero due sole vittorie in 16 gare, stante l'infortunio di Peyton Manning, e ottennero dunque la prima posizione di scelta nel draft, chiamando Andrew Luck. Ora, Luck ha portato la squadra a un bilancio di 8-4 che la mette in ottima posizione per entrare nei playoff, e anche se ha avuto momenti di buio, dovuti a inesperienza, il ragazzo cresciuto in parte in Europa ha mostrato la capacità dei grandi, per quanto sia presto per trarre giudizi definitivi: ha avuto cadute di concentrazione e rendimento solo a tratti, mostrandosi invece molto determinato in momenti decisivi. Non per nulla sette di quelle vittorie i Colts le hanno ottenute con un margine ristretto: non sarà sempre stato merito esclusivo di Luck, ma la statistica è incoraggiante. Domenica, Luck aveva giocato malino per gran parte della gara a Detroit, lanciando tre intercetti, ma sul 33-21 per gli avversari ha trovato due ottimi drive, e sull'ultimo, con il punteggio di 33-28, ha avuto palla sulla linea delle 25, a 75 yard dunque dal touchdown, e con soli 1'07" da giocare. In 1'04" ha portato i Colts sulla linea delle 14 avversare, e dunque con 3" sul cronometro restava solo un'azione. Conclusa brillantemente, con movimento a evitare la pressione dei difensori e lancio corto per Donnie Avery, che è poi entrato in end zone. Mossa teoricamente rischiosa, non lanciare direttamente in touchdown perché ovviamente Avery avrebbe potuto essere placcato prima della linea, ma Luck in pieno affanno è riuscito a comprendere che il compagno di squadra aveva una buona posizione. Vittoria per 35-33 e playoff più vicini. Di Luck riparleremo, ma per i Colts intanto c'è un'altra buona notizia, certo più profonda di un semplice (?) successo sul campo: il coach Chuck Pagano, che dopo sole tre partite aveva dovuto abbandonare la squadra per una leucemia (curabile), ha terminato il ciclo di chemioterapia e potrebbe tornare ad allenare per la partita contro gli Houston Texans del 30 dicembre. Deve prima valutare le reazioni del suo fisico e rimettersi in sesto, ma la possibilità c'è.
TERZO DOWN - Nonostante le pessime prestazioni di quest'anno, e la decisione del coach Rex Ryan di metterlo in panchina verso la fine del terzo quarto della gara di domenica scorsa contro gli Arizona Cardinals, Mark Sanchez torna titolare per la prossima partita, a Jacksonville. Non ci torna per propria decisione, ovviamente, ma perché Ryan ha voluto così, spiegandolo proprio oggi in una conferenza stampa ritenuta così importante da essere mandata in onda dalla rete Espn, anche se a dire il vero non è una novità per un canale così - come dire? - vivace. «Sono soddisfatto di avere deciso così, ho parlato con molte persone [nello staff] ma alla fine ho scelto io. Credo che Mark ci dia le migliori possibilità di vincere, ma deve giocare meglio e proteggere la palla meglio». Ecco, anche quello, visto che i Jets sono trentesimi su trentadue per palle perse: peraltro la pazienza di Ryan domenica non si era esaurita all'ennesimo intercetto subito da Sanchez, il terzo, sul quale tra il coach ha più elogiato il giocatore avversario, Patrick Peterson, che non il proprio qb. Lo scenario però per Sanchez resta fosco: in casa l'atmosfera per lui è buia, con tifosi che domenica hanno esultato sia alla sua sostituzione sia a qualsiasi lancio che il suo vice, Greg McElroy, ha completato, e se non altro la prossima partita sarà appunto in trasferta, anche se i Jets, come tutte le squadre di grido del Nordest, hanno molti tifosi in Florida, regione che negli anni ha ricevuto centinaia di migliaia di persone scese in cerca di clima più mite. Con McElroy i Jets domenica hanno segnato gli unici punti di una gara secca di emozioni (7-6...), e naturalmente la controversia non si è esaurita lì: impossibile non notare l'ironia di una situazione nella quale per settimane ci si chiesti per quale motivo i Jets avessero preso Tim Tebow senza poi utilizzarlo che raramente, e ora Ryan toglie Sanchez proprio nella gara in cui Tebow è impossibilitato a giocare, per infortunio che si portava dietro da tempo. «Se Tim fosse mio figlio, non lo manderei in campo, ora come ora» ha detto Ryan. Il dibattito sui rovinati Jets di quest'anno resta aperto, e lo dimostra la diretta della conferenza stampa, ma anche del tutto inutile, visto che le decisioni le prende Ryan, e non la pletora di suoi detrattori.
QUARTO DOWN - Un brutto caso di indisciplina a Detroit, squadra che in questa stagione ha reso meno del previsto e pare avviata a fare una brutta fine dal punto di vista dell'immagine pubblica. Ndamukong Suh, il defensive tackle, è spesso protagonista di episodi al limite della sportività, in campo, e Titus Young, il ricevitore al secondo anno nella Nfl dopo una bella carriera a Boise State, ha addirittura dichiarato uno sciopero individuale nella gara contro Green Bay del 18 novembre, insomma si è volutamente schierato in una posizione sbagliata in parecchi schemi chiamati dall'offensive coordinator Scott Linehan e dal quarterback Matthew Stafford. La protesta nasceva dalla sensazione che Stafford non gli stesse mai lanciando il pallone, e che per come era disposta la difesa di Green Bay anche gli schemi chiamati non fossero favorevoli a un suo coinvolgimento. A bordo campo, verso fine gara, Young aveva anche litigato con l'allenatore dei ricevitori, Shawn Jefferson (wide receiver di valore per 12 anni nella Nfl) ed era poi stato tenuto fuori dall'ultima serie di azioni, e dalla la partita successiva, quella del Thanksgiving Day contro Houston. Sospeso dal club poi riammesso mercoledì scorso, per la gara di domenica scorsa contro i Colts era nella cosiddetta lista inattivi, cioé "in tribuna" come diremmo nel calcio, solo che in tribuna pare nemmeno ci era andato. E proprio ieri i Lions lo hanno messo nella lista injured reserve, con la motivazione di un infortunio al ginocchio. Gli restano due anni di contratto ma la sua esperienza con i Lions potrebbe essere finita, perché del suo comportamento e della sua scarsa voglia di mettere a frutto gli errori e migliorarsi si sono stancati tutti: già in maggio era stato sospeso per qualche giorno per un pugno al safety Louis Delmas, e quando mercoledì è tornato ad allenarsi, anche se non tra i titolari, al termine della seduta si è messo a rispondere alle domande dei cronisti a monosillabi e con il casco in testa e visiera abbassata, tanto che un addetto del club ha presto interrotto la farsa, per imbarazzo. Nessuno dei compagni di squadra è intervenuto in sua difesa, e Dominic Raiola, il centro, non ha avuto problemi a dire «Andiamo avanti senza di lui. Vuole comportarsi da [segue epiteto, ndr]? Faccia pure, non è un problema mio». L'unico guaio per i Lions, la cui stagione è comunque compromessa, è che Ryan Broyles, il ricevitore che sostanzialmente aveva preso il posto di Young, si è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio proprio contro i Colts, ma coach Jim Schwarz ha preferito prendere Kris Durham, fino a ieri senza un contratto, che rimettere in squadra un giocatore apparentemente incapace di ascoltarlo. Per certi versi, dalla vicenda escono sconfitti i Lions, che nel draft del 2011 avevano selezionato Young nonostante i tanti dubbi sul suo modo di stare al mondo, evidenziato anche dalla sospensione di alcuni mesi ricevuta al college per un diverbio con un compagno di squadra. Brutta storia, e lo stesso Young rischia di fare una brutta fine, se - come dovrebbe avvenire in un mondo ideale - i Lions lo dovessero tagliare e nessuna squadra dovesse fidarsi di lui. E che non si fidino più a Detroit è evidente: Schwarz riferendosi al problema che il giocatore ha al ginocchio ha detto, tagliente, «dovrà operarsi, sempre che si presenti all'ospedale"...
Roberto Gotta
PRIMO DOWN - Avete presente una delle più frequenti frasi fatte dello sport, quella per cui ogni atleta vittima di una infortunio promette di tornare "più forte di prima"? Ecco, forse stavolta quelle parole sono appropriate, a proposito di Adrian Peterson. Che peraltro non risulta le abbia mai pronunciate, e forse non è un caso. Nella sconfitta dei suoi Minnesota Vikings (23-14), domenica, contro i Green Bay Packers, Peterson ha portato palla 21 volte per 210 yard, compresa una strepitosa corsa in touchdown di 82 yard in cui ha resistito ai tentativi di placcaggio (alcuni non irresistibili, va detto) dei difensori avversari. In quella corsa, che si può vedere su YouTube, Peterson ha approfittato dei buoni blocchi iniziali dei suoi compagni di squadra, che gli hanno permesso di arrivare senza essere sfiorato dai difensori fino alla linea di chiusura del down (era un terzo tentativo con una yard da conquistare), poi ci ha messo del suo, con potenza e accelerazione, dando anche - come hanno mostrato le riprese televisive - ripetute occhiate allo schermo dello stadio, situato dietro la end zone, per capire se qualche avversario alle sue spalle gli fosse troppo vicino. Finora, in 12 partite, Peterson ha prodotto 1446 yard in 234 tentativi (6.2 di media!), migliore statistica Nfl, ed ha ancora valide speranze di arrivare a quota 2000. Tutto questo sarebbe di per sé motivo di elogio, ma quel che fa impressione è che poco meno di un anno fa, alla vigilia di Natale del 2011, il ragazzo si era rotto il legamento crociato anteriore e il mediale collaterale in un partita contro i Washington Redskins. Infortuni che rispetto a qualche tempo fa possono venire curati con maggiore efficacia e portare a una ripresa pressoché perfetta, ma si poteva pensare al massimo a una buona stagione per Peterson, non certo alle prestazioni dominanti che ha messo in atto: al di là delle yard guadagnate in assoluto, "AD" (All Day, soprannome datogli dal padre perché "era in movimento tutto il giorno") è nettamente primo nella Nfl per quelle conquistate, come si dice in gergo, dopo un contatto, ovvero dopo un tentativo avversario di placcarlo. Secondo lo studio del sito profootballfocus siamo a quota 919, ovvero più di quelle TOTALI di tutti gli altri running back tranne nove. Ricordiamo che nel 2007, al suo primo anno da professionista, Peterson aveva stabilito il record di yard in una partita, con 296 contro i San Diego Chargers, e la sua carriera è sempre stata quella di un giocatore dal talento naturale, potenza e atletismo fuori dalla norma per un ragazzo di oltre 90 chili, se è vero che al liceo aveva anche corso i 100 metri in 10"33 in favore di vento. I Vikings sono in lotta per i playoff, anche se con scarse possibilità, e devono ancora capire il valore vero del quarterback Christian Ponder, ma possono contare su Peterson. Che è stato paragonato a molti running back di alto valore del passato, uno dei quali è Earl Campbell, ed è curioso che i rispettivi luoghi di nascita, entrambi nella parte orientale del Texas, distino tra loro solo 70 chilometri. Del resto, si sa, l'America è piccola. O no?
SECONDO DOWN - La struttura del mondo sportivo professionistico americano mette ogni club nella condizione di vincere il titolo, a patto che programmi bene e scelga i giocatori giusti, ricordando che nella cerimonia di selezione degli atleti provenienti dall'università la precedenza va data alla squadra peggio classificata nella stagione precedente. Situazione che porta club di prestigio ad attraversare periodi anche pessimi, prima di rinascere se avranno fatto i passi giusti. Inutile ricordare che i Dallas Cowboys vinsero una sola partita su 16 nel 1989, ma identificando i giocatori (e il coach) adatti risalirono presto e vinsero tre Super Bowl tra il 1992 e il 1995. Rinascita magari non esemplare perché troppo rapida, ma significativa di quel che si può ottenere. Bene, nel 2011 gli Indianapolis Colts ebbero due sole vittorie in 16 gare, stante l'infortunio di Peyton Manning, e ottennero dunque la prima posizione di scelta nel draft, chiamando Andrew Luck. Ora, Luck ha portato la squadra a un bilancio di 8-4 che la mette in ottima posizione per entrare nei playoff, e anche se ha avuto momenti di buio, dovuti a inesperienza, il ragazzo cresciuto in parte in Europa ha mostrato la capacità dei grandi, per quanto sia presto per trarre giudizi definitivi: ha avuto cadute di concentrazione e rendimento solo a tratti, mostrandosi invece molto determinato in momenti decisivi. Non per nulla sette di quelle vittorie i Colts le hanno ottenute con un margine ristretto: non sarà sempre stato merito esclusivo di Luck, ma la statistica è incoraggiante. Domenica, Luck aveva giocato malino per gran parte della gara a Detroit, lanciando tre intercetti, ma sul 33-21 per gli avversari ha trovato due ottimi drive, e sull'ultimo, con il punteggio di 33-28, ha avuto palla sulla linea delle 25, a 75 yard dunque dal touchdown, e con soli 1'07" da giocare. In 1'04" ha portato i Colts sulla linea delle 14 avversare, e dunque con 3" sul cronometro restava solo un'azione. Conclusa brillantemente, con movimento a evitare la pressione dei difensori e lancio corto per Donnie Avery, che è poi entrato in end zone. Mossa teoricamente rischiosa, non lanciare direttamente in touchdown perché ovviamente Avery avrebbe potuto essere placcato prima della linea, ma Luck in pieno affanno è riuscito a comprendere che il compagno di squadra aveva una buona posizione. Vittoria per 35-33 e playoff più vicini. Di Luck riparleremo, ma per i Colts intanto c'è un'altra buona notizia, certo più profonda di un semplice (?) successo sul campo: il coach Chuck Pagano, che dopo sole tre partite aveva dovuto abbandonare la squadra per una leucemia (curabile), ha terminato il ciclo di chemioterapia e potrebbe tornare ad allenare per la partita contro gli Houston Texans del 30 dicembre. Deve prima valutare le reazioni del suo fisico e rimettersi in sesto, ma la possibilità c'è.
TERZO DOWN - Nonostante le pessime prestazioni di quest'anno, e la decisione del coach Rex Ryan di metterlo in panchina verso la fine del terzo quarto della gara di domenica scorsa contro gli Arizona Cardinals, Mark Sanchez torna titolare per la prossima partita, a Jacksonville. Non ci torna per propria decisione, ovviamente, ma perché Ryan ha voluto così, spiegandolo proprio oggi in una conferenza stampa ritenuta così importante da essere mandata in onda dalla rete Espn, anche se a dire il vero non è una novità per un canale così - come dire? - vivace. «Sono soddisfatto di avere deciso così, ho parlato con molte persone [nello staff] ma alla fine ho scelto io. Credo che Mark ci dia le migliori possibilità di vincere, ma deve giocare meglio e proteggere la palla meglio». Ecco, anche quello, visto che i Jets sono trentesimi su trentadue per palle perse: peraltro la pazienza di Ryan domenica non si era esaurita all'ennesimo intercetto subito da Sanchez, il terzo, sul quale tra il coach ha più elogiato il giocatore avversario, Patrick Peterson, che non il proprio qb. Lo scenario però per Sanchez resta fosco: in casa l'atmosfera per lui è buia, con tifosi che domenica hanno esultato sia alla sua sostituzione sia a qualsiasi lancio che il suo vice, Greg McElroy, ha completato, e se non altro la prossima partita sarà appunto in trasferta, anche se i Jets, come tutte le squadre di grido del Nordest, hanno molti tifosi in Florida, regione che negli anni ha ricevuto centinaia di migliaia di persone scese in cerca di clima più mite. Con McElroy i Jets domenica hanno segnato gli unici punti di una gara secca di emozioni (7-6...), e naturalmente la controversia non si è esaurita lì: impossibile non notare l'ironia di una situazione nella quale per settimane ci si chiesti per quale motivo i Jets avessero preso Tim Tebow senza poi utilizzarlo che raramente, e ora Ryan toglie Sanchez proprio nella gara in cui Tebow è impossibilitato a giocare, per infortunio che si portava dietro da tempo. «Se Tim fosse mio figlio, non lo manderei in campo, ora come ora» ha detto Ryan. Il dibattito sui rovinati Jets di quest'anno resta aperto, e lo dimostra la diretta della conferenza stampa, ma anche del tutto inutile, visto che le decisioni le prende Ryan, e non la pletora di suoi detrattori.
QUARTO DOWN - Un brutto caso di indisciplina a Detroit, squadra che in questa stagione ha reso meno del previsto e pare avviata a fare una brutta fine dal punto di vista dell'immagine pubblica. Ndamukong Suh, il defensive tackle, è spesso protagonista di episodi al limite della sportività, in campo, e Titus Young, il ricevitore al secondo anno nella Nfl dopo una bella carriera a Boise State, ha addirittura dichiarato uno sciopero individuale nella gara contro Green Bay del 18 novembre, insomma si è volutamente schierato in una posizione sbagliata in parecchi schemi chiamati dall'offensive coordinator Scott Linehan e dal quarterback Matthew Stafford. La protesta nasceva dalla sensazione che Stafford non gli stesse mai lanciando il pallone, e che per come era disposta la difesa di Green Bay anche gli schemi chiamati non fossero favorevoli a un suo coinvolgimento. A bordo campo, verso fine gara, Young aveva anche litigato con l'allenatore dei ricevitori, Shawn Jefferson (wide receiver di valore per 12 anni nella Nfl) ed era poi stato tenuto fuori dall'ultima serie di azioni, e dalla la partita successiva, quella del Thanksgiving Day contro Houston. Sospeso dal club poi riammesso mercoledì scorso, per la gara di domenica scorsa contro i Colts era nella cosiddetta lista inattivi, cioé "in tribuna" come diremmo nel calcio, solo che in tribuna pare nemmeno ci era andato. E proprio ieri i Lions lo hanno messo nella lista injured reserve, con la motivazione di un infortunio al ginocchio. Gli restano due anni di contratto ma la sua esperienza con i Lions potrebbe essere finita, perché del suo comportamento e della sua scarsa voglia di mettere a frutto gli errori e migliorarsi si sono stancati tutti: già in maggio era stato sospeso per qualche giorno per un pugno al safety Louis Delmas, e quando mercoledì è tornato ad allenarsi, anche se non tra i titolari, al termine della seduta si è messo a rispondere alle domande dei cronisti a monosillabi e con il casco in testa e visiera abbassata, tanto che un addetto del club ha presto interrotto la farsa, per imbarazzo. Nessuno dei compagni di squadra è intervenuto in sua difesa, e Dominic Raiola, il centro, non ha avuto problemi a dire «Andiamo avanti senza di lui. Vuole comportarsi da [segue epiteto, ndr]? Faccia pure, non è un problema mio». L'unico guaio per i Lions, la cui stagione è comunque compromessa, è che Ryan Broyles, il ricevitore che sostanzialmente aveva preso il posto di Young, si è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio proprio contro i Colts, ma coach Jim Schwarz ha preferito prendere Kris Durham, fino a ieri senza un contratto, che rimettere in squadra un giocatore apparentemente incapace di ascoltarlo. Per certi versi, dalla vicenda escono sconfitti i Lions, che nel draft del 2011 avevano selezionato Young nonostante i tanti dubbi sul suo modo di stare al mondo, evidenziato anche dalla sospensione di alcuni mesi ricevuta al college per un diverbio con un compagno di squadra. Brutta storia, e lo stesso Young rischia di fare una brutta fine, se - come dovrebbe avvenire in un mondo ideale - i Lions lo dovessero tagliare e nessuna squadra dovesse fidarsi di lui. E che non si fidino più a Detroit è evidente: Schwarz riferendosi al problema che il giocatore ha al ginocchio ha detto, tagliente, «dovrà operarsi, sempre che si presenti all'ospedale"...
Roberto Gotta