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Note dopo il primo turno dei playoff Nfl, quattro partite e (ovviamente) quattro squadre qualificate ai cosiddetti divisional, ovvero i quarti di finale in vista del Super Bowl del 3 febbraio prossimo. I quattro down di questa settimana riflettono su quanto si è visto, prima però ecco gli accoppiamenti per il prossimo turno, in cui entrano in gioco le altre quattro squadre, che hanno saltato il primo passaggio: nella Nfc, San Francisco 49ers-Green Bay Packers e Atlanta Falcons, con le vincenti a sfidarsi domenica 20, nella Afc Denver Broncos-Baltimore Ravens e New England Patriots-Houston Texans.
PRIMO DOWN - Green Bay Packers-Minnesota Vikings 24-10. Nell'ultimo articolo/editorialino di Gregg Easterbrook, valente e bizzarro collaboratore del sito ESPN, c'è la foto di un giocatore di Texas A&M, l'università texana, con la didascalia "Oklahoma ha concesso a Texas A&M solo 633 yard". Chiaramente sarcastica, e degna chiusura di una serie di note che Easterbrook ha riservato per tutta la stagione di college alle statistiche abnormi di parecchie partite, in alcune delle quali la squadra che ha prodotto più yard è stata addirittura sconfitta (non è stato il caso degli Aggies, che hanno vinto). Verrebbe allora da dire che Green Bay, domenica scorsa, ha tenuto Adrian Peterson a 99 yard. Poche per Peterson se ci si basa sul suo rendimento del 2012, già descritto oltre un mese fa in questo spazio virtuale, ma che sarebbero sufficienti, sulla proiezione delle 16 partite di regular season, a fargli sorpassare ampiamente il traguardo ambito, seppur svalutato, delle 1000 a stagione. Non diciamo nulla di nuovo, perché è stato uno dei primi dettagli tattici evidenziati dai telecronisti, ma i Packers hanno fatto, per limitare Peterson, o meglio impedirgli le lunghe cavalcate che spezzano il morale altrui, quel che dovrebbe fare ogni squadra destinata ad affrontare un grande portatore di palla: hanno tenuto le posizioni all'esterno della linea di difesa, specialmente con i defensive end (l'uomo all'estremo della linea stessa) e degli outsider linebacker, cioè gli uomini subito alle spalle della linea, ma all'esterno. Una forza della natura come Peterson non ha certo timore del placcaggio di un solo uomo, ma fare sì che ad ogni sua corsa l'esterno risultasse occupato da almeno un difensore ha voluto dire per lui dover modificare la propria corsa, e di conseguenza rallentare nel cambio di direzione, un numero sufficiente di volte a togliergli un pochino della sua pericolosità. Va da sé che avendo di fronte un quarterback inesperto e poco fluido nel lanciare, come Joe Webb che all'ultimo momento aveva sostituito l'infortunato Christian Ponder, la difesa di Green Bay ha potuto realmente concentrare la maggior parte del suo sforzo su Peterson, ma il risultato di questo approccio è stato comunque premiato, e ugualmente incoraggiante è stato per lo staff vedere che nella maggior parte dei casi il compito assegnato è stato svolto. Ma tale attenzione, tale studio sulle doti di un individuo, è anche una implicita, anzi esplicita, ammissione della grandezza dell'individuo stesso. Con una importante, e ambigua, conseguenza: visto il rendimento di Peterson a pochi mesi dal grave infortunio al ginocchio del dicembre 2011, ora ci si aspetterà da altri giocatori colpiti da analogo guaio un recupero ugualmente rapido e completo, con il rischio di delusioni e incomprensioni. Ne parliamo nel terzo down, e non sarà piacevole.
SECONDO DOWN - Baltimore Ravens-Indianapolis Colts 24-9. Impossibile non menzionare Ray Lewis, il 37enne linebacker e leader dei Ravens che si ritirerà a fine stagione ed ha dunque giocato l'ultima partita in casa della sua carriera. Lewis, ovvero talento naturale corroborato da preparazione costante, estrema cura del proprio fisico, carica, carisma, e la rinascita spirituale dopo un passato contrassegnato da un brutto episodio di cui abbiamo già parlato, con ostacoli posti agli investigatori in un caso di omicidio che aveva visto il coinvolgimento di un paio di suoi conoscenti. Lewis ha salutato tutti con le sue danze atre e bellissime, ed ha giocato una buona ma non eccezionale partita, confermando la saggezza della decisione di lasciare le scene prima che il suo rendimento non sia all'altezza del suo nome, ma ora merita un accenno un giocatore che invece è difficile notare, perché impegnato in uno dei tanti ruoli oscuri del football, quello del fullback. Il running back che cioè porta poco il pallone, ma apre la strada a chi lo fa: nel nostro caso si tratta di Vonta Leach, 31 anni, nona stagione nella Nfl e seconda ai Ravens, fisico compatto, quasi cubico, per esagerazioni parlando, visto che è 1.80 e pesa 118 chili. La palla non la vede praticamente mai: il qb si gira tenendola in mano e - per schema, non certo per volontà - gli passa accanto senza dargliela, per lanciarla o consegnarla al running back vero e proprio, generalmente Ray Rice. Per dire: Leach ha portato palla nove volte nel 2012 e 12 nel 2011, per un totale di 67 yard, ovvero quelle che un buon running back guadagna in un paio di quarti di gioco. Domenica, sul 3-3, Leach ha ricevuto dall'offensive coordinator Jim Caldwell la chiamata, con la palla a 2 yard dal touchdown. Azione semplicissima (su un motore di ricerca, cercate "Vonta Leach 2-yard run"): i due uomini esterni della linea, ovvero la guardia Kelechi Osemele e il tackle Bryant McKinnie, hanno spinto i loro dirimpettai verso l'interno, il tight end Billy Bajema ha fatto altrettanto verso l'esterno e nel buco creatosi si è infilato Leach. Solo che gli è arrivato contro il linebacker Pat Angerer, con l'aiuto quasi immediato di Antoine Bethea. Ma Angerer non ha potuto fare molto: andare al placcaggio "bassi" contro uno con quel fisico, e a poche decine di centimetri dalla linea di touchdown, vuol dire comunque rischiare che sull'impeto Leach entri comunque in end zone; restare "alti" significa correre il pericolo che l'avversario, più lanciato, ti trascini con te. Ad Angerer è andata male: Leach si è prima reso più difficile da placcare curvandosi in avanti, a diminuire dunque la zona "abbrancabile", poi quando ha sentito le braccia del difensore attorno a sé ha continuato a spingere, e contro cosce potenti come le sue c'è poco da fare. La spinta infatti è stata sufficiente a portare la palla sulla linea di end zone, il che equivale al touchdown, e troppo tardi l'irrompere di un terzo difensore, Kavell Conner, ha sospinto Leach di nuovo nella zona di solo prato. Una grande, ammirevole esibizione di forza pura, da parte di un giocatore che è chiamato ad esercitare proprio quella, con pochi applausi, tanto che a volte in passato ha sfogato la sua ansia di estro sul campo di allenamento, come quel giorno in cui andò all'allenamento, a Houston, con una tutina rossa aderente, e si mise a saltellare a quattro zampe come fosse l'Uomo Ragno. In pochi ebbero il coraggio di commentare.
TERZO DOWN - Washington Redskins-Seattle Seahawks 14-24. Quarterback, sempre e solo loro. Robert Griffin III, di Washington, ha giocato una partita non eccezionale, in quanto ancora frenato da un infortunio al ginocchio destro riportato il 9 dicembre. Tenuto in campo nonostante le sue evidenti difficoltà, si è poi definitivamente fatto male nell'ultimo quarto quando, nel tentativo di raccogliere un pallone vagante, ha sentito cedere il medesimo ginocchio, restando a terra per qualche minuto. Gli esami, di poche ore antecedenti l'uscita di queste note, hanno evidenziato un danno profondo al legamento laterale collaterale, con conseguenze al crociato anteriore (già rotto nel 2009) che sono state accertate, e sistemate, durante l'intervento chirurgico, previsto per mercoledì 9 gennaio: come subito riportato dai media, il crociato non aveva subito una rottura totale ma è stato comunque risistemato, a protezione futura. Esplosa presto la polemica, che del resto, specialmente dal salotto, è la cosa più facile di questo mondo. Al centro, coach Mike Shanahan e la sua decisione di lasciare in campo, su un terreno oltretutto in pessime condizioni, un giocatore in evidente difficoltà. Il guaio è che le situazioni non sono mai chiare come paiono dalla poltrona: chi conosce il football sa che in campo e a bordo campo la mentalità è quella di non mostrarsi mai infortunati e mai tirarsi fuori da una partita, e pare proprio che Griffin abbia ripetutamente detto al suo coach Mike Shanahan di essere dolorante ma non infortunato; ma se è stata introdotta una legislazione che affida a una consulenza medica i rientri in campo dei giocatori dopo una forte botta alla testa è proprio perché è pressoché impossibile convincere uno di loro a restare fuori per la salvaguardia della sua salute, senza insinuargli il sospetto che sia un pusillanime. E allora a maggior ragione si ritiene da molte parti che Shanahan avrebbe dovuto ordinargli di fermarsi in panchina, sollevandolo dall'ansia di prestazione, o dal timore di non essere visto come un guerriero. Di fatto, ogni discussione è inutile, e dell’accaduto parliamo solo per via dell’aggiornamento relativo all'intervento chirurgico di ieri, e per il fatto che all'interno del club, ovvero i Redskins, la questione è ancora viva. Aggiungendo la curiosità che anche quando si fece male al college nel 2009 Griffin restò in campo per tutto il primo tempo, è però bizzarro però pensare che Shanahan abbia consapevolmente sacrificato la salute del ragazzo per guadagnarsi una vittoria nei playoff: dopo la stagione 2012, molto più positiva del previsto, il coach già vincitore di due Super Bowl aveva la garanzia di un prolungamento della fiducia per almeno un altro anno, coperto da contratto, e quale senso avrebbe avuto rischiare danni seri a un giocatore in grado di dargli buone possibilità di un ritorno ai playoff in un futuro non lontano? Nessuno.
QUARTO DOWN - Washington Redskins-Seattle Seahawks 14-24. Ancora questa partita, lasciando fuori Houston Texans-Cincinnati Bengals (19-13) che non ha avuto motivi di interesse tali da essere riesumati a distanza di quattro giorni. E quarterback, come si diceva. Russell Wilson non ha vinto il confronto a distanza con Griffin, sono scemenze queste: ha vinto la partita, e questo è già sufficiente. Di lui avete già letto in questa rubrica: al college era passato da North Carolina State a Wisconsin per trovare maggiore spazio, era una promessa del baseball con la possibilità di una carriera anche in quello sport, e i Seattle Seahawks lo scorso aprile lo scelsero solo al numero 75. Può sembrare un paradosso per uno chiamato al terzo giro del draft, ma la convinzione del club su di lui era piena, a dispetto dell'opinione generale che la sua statura, circa 1.80, non fosse sufficiente per il ruolo che ha in campo. Domenica sera Wilson ha giocato bene, mostrando la veridicità del complimento fattogli alcune settimane fa da un coach e riportato da un giornale, ovvero «quando esce dalla tasca [lo spazio dietro alla linea in cui teoricamente un quarterback è maggiormente protetto] lo fa sempre con il pensiero di lanciare, prima di tutto, non di correre», apparente banalità che fa luce su un punto di forza di Wilson, quello cioè di restare quarterback anche quando apparentemente assume le sembianze di running back. Ma al di là delle cifre, quel che ha colpito del ragazzo, atleta armonico e magnifico da vedere, è l'energia con cui ha contribuito a un paio di azioni, compreso il touchdown di Marshawn Lynch del 21-14: in quest'ultima occasione, dopo avere consegnato palla al suo running back non ha solo seguito l'azione, ma ha addirittura accelerato passando davanti a Lynch e aiutandolo a raggiungere l'end zone con un blocco non distruttivo ma efficace, e soprattutto… UN BLOCCO! Rarissimo che qb faccia altro che assistere allo sviluppo dl un'azione di corsa (altrui), mentre qui addirittura ha contribuito in maniera fattiva al suo successo, anche se va sottolineato come la dinamica dello schema avesse posto Wilson nelle condizioni migliori per proseguire sullo slancio. Il resto però ce l'ha messo lui.
Roberto Gotta