domenica 4 dicembre 2011

Perché OSU al BCS Championship Game

No, non lo sostengo io, che non ho seguito il college football a sufficienza per dare un giudizio. È semplicemente il contenuto di una email che subito dopo la fine di Oklahoma State-Oklahoma, finita 44-10 per i Cowboys, hanno ricevuto tutti i gionalisti, compreso il sottoscritto, che fa parte della Football Writers of America (ma non voto mai per gli All-America, sarei cialtrone, non avendo visto 9/10 delle partite). Inviata dall'addetto PR di OSU, carica che nei college è detta Sports Information Director, conteneva il prospetto che vedete in alto, compilato ovviamente per dare forza alla candidatura dei neroarancio.

lunedì 28 novembre 2011

Corey Mazza, football e Marines

Dal comunicato ufficiale dei Panthers Parma, riadattato per questo blog.
«L'esperienza più bella della mia vita, dopo il matrimonio con mia moglie». E' così che Corey Mazza, ex giocatore dei Panthers, ha ricordato la sua permanenza in Italia per giocare a football in un incontro che si è tenuto alla Club House Le Viole di Moletolo davanti ai vecchi compagni e ai giocatori delle giovanili paemensi. Il 26enne californiano è  tornato a far visita alla società ducale insieme alla moglie Kathleen, ex cheerleader, dopo tre anni di assenza dall'Italia. Nel 2008 Mazza arrivò a Parma, insieme agli amici Danny Brown e Ryan Tully, e restò una sola stagione ma da record, segnando 32 touchdown in 15 partite. Il wide receiver arrivò alla finale di Efaf Cup, la prima nella storia della squadra ducale, ma non poté scendere in campo contro i Berlin Adler per via di un infortunio riportato proprio nell'imminenza della partita. Nello stesso periodo i Panthers avevano ospitato lo scrittore John Grisham, che si ispirò alla storia delle pantere per scrivere il romanzo Il Professionista (Playing for Pizza); lo scrittore americano inaugurò la stagione sportiva del campionato italiano facendo registrare il tutto esaurito sugli spalti del vecchio stadio Lanfranchi di viale Piacenza. Mazza, prima ancora di essere ingaggiato dai Panthers, conobbe la realtà del football in Italia proprio attraverso le pagine del libro di Grisham. «Devo dire che la descrizione del football giocato fatta da Grisham non rende omaggio al movimento italiano - ha raccontato Mazza - Il livello è più alto di quanto si possa pensare. Qui ho subito i colpi più duri di tutta la mia carriera ma soprattutto ho riscoperto il piacere puro di giocare a football; in America sei sempre sotto pressione fin dall'high school»
Alla fine del campionato 2008 il giocatore americano rientra nel suo paese per frequentare la U.S. Marine Corps Officers Basic School, stazionata a Quantico, in Virginia; una scelta ispirata dal nonno Gino, un membro del Corpo dei Marines tra il 1951 e il 1953,  che vediamo con lui nella foto. «Ho sempre desiderato entrare nel Corpo dei Marines per seguire le orme di mio nonno - ha confessato l'ex pantera - Il mio progetto era fare l'accademia subito dopo il college ma quando mi è arrivata la proposta d'ingaggio da Ivano Tira per giocare in Italia ho deciso di posticipare di un anno». Dopo l'addestramento Mazza è partito per l'Afghanistan nel marzo del 2011 con il grado di primo tenente del 1° Battaglione 5° Reggimento dei Marines, composto da 50 uomini: «è stata un'esperienza molto dura. La nostra giornata era scandita in tre momenti: pattugliare, mangiare e dormire. Ogni due settimane tornavo al campo base per fare rapporto, era l'occasione per sapere come stava andando il campionato (Nfl, ndr) così potevo dirlo ai ragazzi, era un modo per sentirci un po' più vicini a casa». In Afghanistan Mazza ha trascorso otto lunghi mesi con un solo obiettivo: «riportare tutti i miei uomini a casa sani e salvi, ma purtroppo non è stato così». Il suo mandato terminerà a maggio e «sto ragionando con mia moglie sul da farsi». Mazza ha studiato all'Università di Harvard dove, in 4 stagioni, con la maglia dei Crimson, ha totalizzato 177 ricezioni per oltre 2.800 yards e 28 touchdown. L'anno prima di sbarcare in Italia era stato inserito nell'All-Star Team del New England.

giovedì 24 novembre 2011

La campagna per i premi

Niente di fenomenale, niente di inusuale. Ma una piccola finestra aperta su un mondo che può essere al contempo interessante e imbarazzante, quello degli addetti stampa o PR delle università americane che cercano di promuovere i giocatori della propria squadra per uno dei riconoscimenti individuali di fine stagione. Per email, a chi fa parte del giro, arriva di tutto: dal soffuso allo spudorato, dal colorito al moderato. Qui uno dei tanti esempi, prpveniente da Notre Dame, e prego di notare la cortesia della prima frase, una richiesta effettuata con il tatto giusto.

When filling out your All-America ballots this fall, I sincerely hope you consider these players from Notre Dame (listed alphabetically by last name):

TE TylerEifert
WR Michael Floyd
LB MantiTe’o

Notre Dame was one of 24 teams that started the season 0-2, losing to USF and Michigan by a combined seven points after committing a combined 10 turnovers. Since then, the Irish have rattled off eight wins in the last nine games. Of the 24 teams that started 0-2 this year, only three currently have a winning record: Notre Dame, Georgia and Western Kentucky.  The turnaround was led by the following players that have all had seasons worthy of All-America consideration.

Tyler Eifert (nella foto)
TE :: 6-6 :: 249 :: Junior :: Fort Wayne,Ind. (Bishop Dwenger)
·       Mackey Award finalist
·       Sporting News Midseason First-Team All-American
·       Phil Steele Midseason First-Team All-American
·       College Football News Midseason Second-Team All-American
·       2011 totals: 53 rec., 634 yards, 5 TDs
·       Leads ALL tight ends in receptions
·       Ranks 2nd among ALL tight ends in receiving yards and receiving yards per game
·       Among the three Mackey Award finalists, Eifert has the most receptions and receiving yards
·       On pace to set the Notre Dame record for receptions in a season by a tight end while recording the second-most receiving yards in a season by a Fighting Irish tight end
·       Needs 2 receptions, 164 yards and 2 TDs to set Notre Dame records for most receptions, receiving yards and receiving TDs by a tight end
·       Caught 6 passes for season-high 93 yards vs. USF
·       Registered 8 receptions for 75 yards and 1 TD at Pittsburgh
·       Recorded 8 catches for 81 yards and 1 TD vs. Air Force
·       Caught 7 passes for 66 yards vs. current No. 10 USC
·       Tallied 8 receptions for 83 yards and 1 TD vs. Maryland
·       Already ranks 5th in career receptions and receiving yards by a Notre Dame tight end with two seasons of eligibility remaining
·       Recorded at least 6 receptions in 5 gamesthis year

Michael Floyd
WR :: 6-3 :: 224 :: Senior :: Saint Paul,Minn. (Cretin-Derham)
·       Biletnikoff Award semifinalist
·       Phil Steele Midseason Second-Team All-American
·       2011 totals: 87 rec., 1,014 yards, 7 TDs; 1 rush, 10 yards, 1 TD
·       Career totals: 258 rec., 3,553 yards, 35 TDs; 3 rushes, 27 yards, 1 TD
·       Ranks 9th in the FBS in receptions per game
·       Caught 12 passes for 154 yards and 2 TDs vs. USF
·       Recorded 13 receptions for 159 yards vs. current No. 17 Michigan
·       Registered 12 catches for 137 yards and 1 TD at Purdue
·       Tallied 121 receiving yards on 6 receptions and 1 TD vs. Navy
·       Caught 9 passes for 90 yards and 1 TD vs.Maryland
·       Recorded 10 receptions for 92 yards vs. Boston College
·       Among active players, ranks 3rd in career receiving TDs and career receiving yards
·       Notre Dame school record holder in five career categories: receptions (258), receiving yards (3,553), receiving TDs(35), receiving yards per game (86.7), games with at least 100 receiving yards (17)
“The guy was unbelievable.  What Floyd did against us we have seen him do against everybody.  The guy is a big‑time receiver.  You throw the hitch out to him and he stiff‑arms guys, most of them, for touchdowns.  He's catching the ball underneath; catching the ball over the top. I mean, the kid is a complete player.”
·       Navy head coach Ken Niumatalolo

Manti Te’o
LB :: 6-4 :: 255 :: Junior :: Laie, Hawaii (Punahou)
·       Butkus Award finalist
·       Lombardi Award semifinalist
·       Lott Trophy semifinalist
·       Capital One Academic All-District V
·       Capital One Academic All-America nominee
·       Phil Steele Midseason First-Team All-American
·       College Football News Midseason First-Team All-American
·       CBS Sports.com Midseason Second-Team All-American
·       SI.com Midseason Second-Team All-American
·       2011 totals: 103 tackles, 11.5 TFLs, 4.5 sacks, 1 PBU
·       Already has set career-highs in TFLs and sacks
·       Among inside and middle linebackers, Te’o ranks tied for 2nd in solo TFLs, tied for 2nd in solosacks, 3rd in total sacks, 3rd in sacks per game, 4th in TFL per game and 5th in total TFL
·       14 tackles, 1 TFL and 1 sack vs. USF
·       12 tackles vs. current No. 11 Michigan State
·       8 tackles (all solo), 3 TFLs and 2 sacks at Purdue
·       10 tackles vs. current No. 10 USC
·       13 tackles, 2.5 TFLs and 0.5 sack vs. Navy
·       Named Lott Trophy IMPACT Player of the Week on Nov. 21 after recording 12 tackles including 0.5 tackle for loss and three QB hurries vs. Boston College
·       Best player on a defense that has yielded13.3 points per game over the last nine games
·       Career totals: 299 tackles, 26.5 TFLs, 6.5 sacks, 5 PBUs, 1 forced fumble
"He knocks you back — I mean, his game is exhausting. He has to be exhausted after games. There are some other really good linebackers, butthey take some plays off, run behind blocks. Every play, he plays like it'sthird-and-1."
·       USC head coach Lane Kiffin

“The difference for us offensively against their defense was Manti.  We could not block Manti.  We have been doing this for a long time.  We tried a lot of different schemes and tried a lot of things to block him, but the kid played phenomenal. We just could not block that guy. We tried to mis‑direction him, tried to get him lost and try to do some different things with eyes and that kid was dialed in.  Like I said, we tried a lot of different blocking schemes and we could not get him blocked.”
·       Navy head coach Ken Niumatalolo

venerdì 4 novembre 2011

Islanders Venezia

No, nessun altro motivo per questa foto se non che è appena arrivata, via Fidaf. Sempre un piacere evidenziare le squadre italiane di football.

giovedì 13 ottobre 2011

La storia di Amid Arap


Di solito non pubblico contributi esterni. Scrivo tutto di mio pugno. Oggi faccio un'eccezione, per una storia che viene dai Dolphins Goes Ancora ed è riportata da un comunicato stampa della FIDAF, che ha fornito il testo - cui ho operato alcuni adattamenti - e le foto: quella di Amid Arap, a sinistra, e del presidente dei Dolphins Leonardo Lombardi.

Ancona Per anni è fuggito dai peggiori mali del mondo. Guerra, dittatura, fame e tanta povertà. Oggi invece fugge dai linebacker avversari per portare la palla ovale in end zone. Perché questo è il compito di ogni running back che si rispetti. E senza offesa per gli avversari, quando sei abituato a fuggire da simili mostri, evitare qualche elemento bardato di casco e maglietta  non è di certo un’impresa che può incutere paura.
Questa è la storia di Amid Arap, running back dei Dolphins Ancona Under 21, che appena diciassettenne vanta già un vissuto che la gran parte di noi non può nemmeno immaginarsi. Dimostrazione ne è che Amid non ricorda una data che sia una della sua storia e fatica a collocare tutte le sue vicissitudini in ordine temporale. Perché quando i tuoi unici obiettivi sono aiutare tuo padre a sfamare il resto della famiglia prima e a salvare la pelle poi, tutto il resto diventa superfluo. Anche il tempo. Anzi, soprattutto il tempo.
Amid, che compirà diciotto anni il primo gennaio, è nato nel martoriato Afghanistan nel 1994, pnella città di Kunduz (250.000 abitanti). Il ragazzo ha ricordi vaghi e confusi della sua terra natìa perché da piccolo, non appena iniziati i bombardamenti americani, i suoi genitori decisero di abbandonare tutto ciò che avevano e fuggire da qualche altra parte a rifarsi una vita. Il destino li portò così in Iran. Lì le cose, purtroppo, non andarono meglio, con Amid costretto a lavorare in giovanissima età pur di sostenere la famiglia in un clima di povertà permanente e mille limitazioni causate dal regime dittatoriale di Teheran. Così, ad un certo punto del 2007, Amid compie la scelta di giungere in Italia. Costi quel che costi. A qualsiasi prezzo e in cambio di qualsiasi sacrificio. Salutato e incoraggiato dalla famiglia a partire, Amid si mette in cammino inseguendo il proprio sogno.
Anzitutto con un viaggio infinito durato mesi e mesi, spesi per giungere dall’Iran alla Turchia. Il tutto a piedi. Un’impresa che solo ad immaginarla vengono la pelle d’oca prima e la stanchezza poi. Ma la determinazione e la voglia di libertà sono in grado di tirare fuori dalle persone speciali delle energie speciali. Così Amid riesce a giungere in Turchia. Qui, dopo essersi guadagnato due soldi ed aver conosciuto altri tre ragazzi prende la decisione di acquistare in società un vecchio gommone usato e quattro remi. Obiettivo: portare se ed i suoi amici in Grecia. Poi, da qui, ognuno per se. Sfidati mare e motovedette greche passandola liscia Arap giunge così in terra ellenica. L’Italia è dall’altra parte della costa ormai. Il più del suo progetto è fatto. Il sogno è lì. Ad un passo dall’essere coronato. Già, manca solo un passo. Ma come compierlo quest’ultimo passo? Come arrivare adesso in Italia? Col metodo più crudo, cinico, rischioso e per questo immediato di tutti. Nascondendosi sotto ad uno dei tanti tir che ogni giorno fanno la spola tra la Grecia e l’Italia. Imbucatosi sotto ad uno di quei bestioni, Arap inizia la sua ultima tappa verso la libertà.
Tutto ok alla dogana greca. Tutto ok il viaggio. E poi alla dogana di Ancona? Amid viene scovato dalla polizia. E quello che sembra la fine di un fantastico sogno è invece solo l’inizio della sua definitiva realizzazione. Gli agenti si accorgono che il clandestino è piccolissimo (siamo ormai nel 2008 quindi Amid ha quattordici anni) e segnalano il caso alle autorità competenti. Il giovane afghano viene così affidato ad una comunità di Cupramontana e nel mentre riesce ad ottenere il pass come rifugiato politico. La sua salvezza.
Amid non deve più fuggire da niente e da nessuno. Può tranquillamente restare in Italia. Il suo sogno è finalmente realizzato. Adesso però tocca iniziare a vivere. E chi più di Amid dovrebbe averne voglia? Il giovane a Cupramontana si ambienta subito. E’ sveglio, impara presto l’italiano e socializza con tutti. Nel mentre inizia a praticare rugby nelle giovanili di Jesi.
I mesi passano ed Amid si trasferisce ad Ancona per fare l’elettricista, ospite dello stesso titolare della ditta per cui lavora. Nella Dorica il ragazzo, tramite un’amica, scopre i Dolphins Ancona ed il football americano. E’ amore a prima vista. Nella prima del campionato Under 21, giocata contro i Neptunes Bologna, Arap ha realizzato anche un touchdown al debutto assoluto. Davvero niente male per un ragazzo alle prime armi.
La riconoscenza di Amid verso la società dorica sembra proprio non avere limiti “Posso solo dire – inizia a spiegare sfoggiando un ottimo italiano - che per me i Dolphins Goes Ancona sono un’autentica famiglia. Dirigenti e allenatori per primi e compagni poi mi hanno accolto come uno di loro sin dal primo momento, non facendomi affatto pesare il fatto di essere uno straniero. La mia famiglia – continua a spiegare Arap - è rimasta in Iran e ci sentiamo sporadicamente. Sogno di poterli rivedere. Ma devo dire che grazie al clima e all’affetto che mi da questa squadra il dolore per la loro lontananza è molto alleviato” E la città invece? “Mi sono trovato benissimo – spiega Amid - sia a Cupramontana che ad Ancona. Non sono mai stato vittima di episodi di razzismo, anzi. La città di Ancona mi ha accolto benissimo, ho come amici sia i compagni di squadra che non e ho anche una fantastica ragazza che mi vuole bene”. E per il futuro? “I miei sogni sono tre. Riuscire a mantenermi da solo, riuscire a portare in Italia la mia famiglia e sportivamente parlando, essere un giorno titolare in prima squadra”.
La storia di Amid Arap è solo il simbolo più evidente, vivo ed intenso della multietnicità che da sempre contraddistinguono i Dolphins Goes Ancona. Una società che tra giovanili e prima squadra al momento può contare anche su tre americani, un polacco, un ucraino, un ghanese, un senegalese, due romeni e tre tunisini.Problemi di integrazione? Zero. Di razzismo? Mai e poi mai che vi sia visto un solo episodio. Qual è il segreto di questo clima perfetto? “Il nostro segreto – spiega il presidente dei Dolphins Leonardo Lombardi - è quello di essere rispettosi delle culture e della specifica sensibilità di ciascun ragazzo. Inoltre – continua il presidente - evitiamo sempre per principio di tirare fuori discorsi nazionalistici, politici o religiosi, dato che sono i principali motivi di contrasto nel mondo, inoltre è abolito il termine extracomunitario. Per noi sono tutti giocatori di football. Punto e basta. I ragazzi vengono giudicati esclusivamente per come si comportano in campo e fuori, non ci importa del colore della loro pelle o di dove sono nati. Solo così possono entrare a far parte della nostra grande famiglia. Più complessivamente – conclude Lombardi - è per me motivo d’orgoglio sapere che molti ragazzi provenienti dall’estero si sono integrati nella città di Ancona grazie ai Dolphins”. Ma veramente non c’è mai stato un problema che sia uno? “Gli unici problemi – specifica Lombardi - derivano a volte dalla difficoltà a comunicare. Ma sono problemi minimi dato che il football, essendo uno sport americano, ha un ampio utilizzo di termini inglesi. Quindi molto spesso non lo capiscono nemmeno gli italiani. Alla peggio ci esprimiamo a segni e gesti. Insomma, sono davvero delle sottigliezze”.
Sono io – dice fiero Lombardi - che devo dire grazie loro. Perché spesso sono stati i ragazzi provenienti da altri paesi ad averci insegnato qualcosa. In fondo chi ha detto che la nostra cultura sia meglio della loro?”

sabato 3 settembre 2011

Vernon va sempre forte

Ricordate Vernon Hargreaves, il linebacker che ormai tanti anni fa fu protagonista con i Warriors Bologna, che con lui furono ai massimi livelli storici? È noto a chiunque faccia parte dello staff della squadra bolognese che Hargreaves, una volta tornato in America, abbia intrapreso una bella carriera da allenatore. Aveva già iniziato quando giocava qui, approfittando del fatto che la stagione italiana si svolgesse in primavera cioé nella stagione opposta a quella di college, ed era stato coach degli outside linebacker a Connecticut dal 1985 al 1989 poi, sempre a UConn, degli inside linebacker dal 1989 al 1997. Nel 1998 la grande occasione, come coach dei linebacker di Miami: sotto di lui sono passati, e sono migliorati, giocatori come Jonathan Vilma, Dan Morgan e DJ Williams, e nel 2001 Hargreaves vinse anche il titolo nazionale di college con gli Hurricanes, che oggi sono al centro di una vicenda molto triste per le presunte, gravi e ripetute violazioni compiute negli ultimi anni, anche - va detto - nel periodo in cui Vernon era con loro. Nel 2006 ancora allenatore dei linebacker per Florida International, situata anch'essa a Miami ma in una zona di fascino non pari a quello di The U, la primavera del 2007 con Bowling Green poi già da giugno il passaggio a East Carolina, dove è rimasto per due anni occupandosi di defensive end e special team. Identico compito a South Florida, dove è arrivato nel 2010. Ora si prepara alla stagione 2011 e quella che vedete è la foto ufficiale distribuita dai Bulls. In bocca al lupo, inevitabilmente.

venerdì 19 agosto 2011

Football&Texas e Rick Perry

Ringraziando chi ha letto Football&Texas e mi ha dato (e riferito) giudizi entusiasti, vorrei segnalare un elemento di cronaca che si lega casualmente al libro stesso, ovvero la conquista di posizioni da parte di Rick Perry, attuale Governatore del Texas, nella corsa alla candidatura repubblicana per la Casa Bianca, accompagnata da una serie di prevedibili articoli "contro" da parte della snobbissima (e impaurita) stampa della costa est, ma questo è uno sviluppo così scontato che nemmeno se ne dovrebbe parlare, e infatti vado oltre. Nel libro lo cito, en passant, in quanto Perry a suo tempo fu Yell Leader di Texas A&M, ovvero uno dei privilegiati che hanno il compito di guidare e indirizzare il tifo e le cerimonie tradizionali per gli Aggies e rappresentare l'università in molte occasioni pubbliche. Perry non aveva iniziato in maniera brillante la sua carriera scolastica a A&M (l'anno era il 1968) e nel 1989, intervistato dal quotidiano di Abilene, aveva apertamente ammesso che solo la rigida struttura militare del college lo aveva salvato dal perdersi per strada. «Ero uno spirito indipendente, non esattamente pronto per la vita al di fuori di un ordinamento militare: fossi andato a Texas Tech o alla University of Texas non ce l'avrei fatta, sarei entrato nel giro delle confraternite e dopo sei mesi mi avrebbero sbattuto fuori». Ecco la foto (fornita dalla Cushing Memorial Library and Archives) di Perry quand'era studente di A&M, con il cane Reveille e la divisa da Yell Leader senior, come dimostrano i lucidissimi stivali.

giovedì 4 agosto 2011

4Helmets questa sera su Raisport1

Due ore di football su Raisport1, questa sera, dalle 20.30. Le quattro partite del trofeo 4Helmets giocato a Luino, con immagini anche del... Lago Maggiore a introdurre la lunga puntata.

martedì 26 luglio 2011

Europei 2013 in Italia

Europei del Gruppo B, cui appartiene il Blue Team assieme a Gran Bretagna, Spagna, Danimarca e Repubblica Ceca più la vincente degli Europei del Gruppo C previsto per il 2012. Bella cosa, poter vedere football a casa nostra, e con buone squadre. Non si sa ancora dove si svolgeranno le partite ma non è difficile credere che verranno scelte alcune delle capitali del football italiano, come sarebbe anche logico.

martedì 19 luglio 2011

La UFL sposta la stagione

Roba di oggi, martedì 19 luglio. La UFL, tramite il commissioner Michael Huyghue, ha deciso di spostare la partenza della stagione dal 13 agosto a metà settembre. Le motivazioni non sono chiarissime: si parla della situazione di blocco della NFL e della NBA che ha differito la chiusura di alcuni contratti impedendo ai vertici di farsi trovare puntuali all'appuntamento con la nuova stagione, ma non si comprende bene di cosa si tratti, se non nel caso delle tv: Versus e HDNet, vicine all'accordo con la UFL, non se la sentivano di chiudere il contratto relativo alla trasmissione delle partite alla domenica perché in caso di fine del lockout della NFL l'audience sarebbe stata irrisoria. Huyghue ha affermato - al di fuori della lettera ufficiale scritta ai tifosi - che la UFL ha perso 100 milioni di dollari nei due anni di attività, ed è disposta a sostenere una perdita di altri 50, ma a questo punto è obbligatorio invertire la tendenza, e non è certo con un ulteriore spostamento del kickoff che si potrà sfruttare il ritardo della ripresa della NFL. Il pensiero va ovviamente a tutti i giocatori e i tecnici, tra cui il "nostro" Brock Olivo: ora andranno tutti in vacanza per due settimane a spese della lega, come se già non ci fossero altri problemi. Coraggio

venerdì 15 luglio 2011

Italian Super Bowl sul sito di Raisport

Si trova a questo indirizzo. Mi scuso con i lettori, ma dopo la partita non ho avuto assolutamente tempo di scrivere cose sensate. E preferisco non scrivere nulla che scrivere solo per riempire spazi. Grazie.

sabato 9 luglio 2011

Gli americani dell'Italian Super Bowl



E questi sono, al college, Eric Marty, Walter Peoples, Tanyon Bissell e Nate Lyles.

venerdì 8 luglio 2011

A proposito di Football&Texas

Da parte di Alessandro Pittaluga, un appassionato di football, un appassionato vero, che ha GIA' finito il libro. Lo ringrazio molto, moltissimo.
"Ciao Roberto, ho finito ora di leggere il primo libro del tuo progetto.
Solo una parola: GRAZIE.
Per avermi insegnato una vagonata di aneddoti, per avermi fatto entrare in un campus americano (anzi, texano) e fatto capire come vivono la loro identità di studenti, per avermi fatto conoscere meglio Jerry Jones, per aver risvegliato piacevolissmi ricordi con la USFL, gli Oilers e la loro Run and Shoot (una delizia capire com'è nata e chi l'ha inventata, davvero chicche favolose), per avermi spiegato com'è nato il football in Texas e le varie rivalità tra HS e College.
Per avermi ricordato gli Hebert, i Kelly, i Fusina, i Walker e quella lega estiva che mi ha fatto innamorare a questo sport insieme agli Squali Genova e il football italiano.
Non finirò davvero mai di ringraziarti, forse neanche tu immagini il peso che un opera del genere può avere su noi appassionati).
Speriamo il tuo progetto possa andare avanti, almeno altri dieci libri in modo da avere un'enciclopedia sul mondo (non solo sportivo, anzi) americano".

La storia di Jaycen Taylor


Negli Stati Uniti la menano un po' troppo con 'sti premi individuali. L'impiegato del mese, il gatto della settimana, il musicista del triennio. Un tentativo costante di dare un contrassegno al passare del tempo, abbinandolo a persone e personalità per conferirgli un volto. È difficile però negare che Jaycen Taylor, il running back dei Panthers Parma nato a Hawthorne (Los Angeles) il 24 agosto 1987, non si meritasse nell'aprile del 2010 il premio Comeback conferitogli dalla Methodist Sports Medicine, un complesso di centri privati di ortopedia con sede a Indianapolis e dintorni. Nel giro di poco più di due anni, infatti, Taylor aveva subito una frattura al braccio sinistro (settembre 2007) e la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro (agosto 2008) e si era ripreso da entrambe, rientrando in campo con efficienza immutata, ed è poi questo che comeback vuol dire, senza nemmeno addentrarci nelle farneticazioni retoriche secondo le quali gli atleti tornano sempre "più forti di prima" (non succede praticamente mai, tra l'altro). Taylor aveva giocato a Purdue, l'università dell'Indiana con sede a West Lafayette, una novantina di chilometri a nord-ovest di Indianapolis, e in quella sera di aprile la sua carriera al college si era già conclusa da cinque mesi. Con un'ultima partita memorabile: nel "derby" contro Indiana, una vittoria per 38-21, aveva corso 20 volte per 110 yards e ricevuto un altro premio, il Pop Doan, che viene dato ogni anno al miglior giocatore di Purdue di attacco, difesa e special team nella sfida contro gli Hoosiers. La Nfl non aveva spazi e opportunità per lui, troppo esile e sospetto per via del ginocchio, e allora ecco, a dodici mesi distanza da quel premio Comeback, l'Italia, i Panthers, le 959 yards corse in 104 tentativi (11.1 tentativi a partita, 9.1 yards a corsa), 17 touchdown su corsa e i quattro su ricezione, il playing for qualcosa di più di quella pizza cui sono ormai associati oltreoceano i Panthers, con tutto il bene promozionale - anche in termini di merchandising - che ne deriva e tutti i rischi di stereotipo. Taylor da noi si fa in realtà chiamare Spears che sarebbe il cognome della madre, anche se le ricerche confermano che la signora risulta essere Mary Pierce e la cosa comincia ad attorcigliarsi in maniera troppo complicata per la brevità forzata di questo articolo. Jaycen, che si fatto si pronuncia come se fosse "Jayson" o "Jason" e può causare ulteriore confusione in chi non lo conosca, viveva ad Hawthorne e andò al liceo alla Leuzinger, lì a pochi chilometri, passando poi ad un junior college, il Los Angeles Harbor, perché i suoi voti non erano sufficienti alla piena qualifica per la borsa di studio. Le statistiche al Jc contano poco, perché ottenute contro nani e ballerini, ma l'innalzamento dei voti, che lo portò poi al diploma in sociologia a Purdue, fu reale, e nella primavera del 2006 Jaycen poté finalmente entrare in un college "vero", proponendosi con brillantezza alla prima stagione con i Boilermakers, nel cui attacco, volto prevalentemente ai lanci secondo la filosofia di coach Joe Tiller, ebbe 677 yards, secondo solo al titolare Kory Sheets, quello che al suo arrivo lo aveva sottoposto a rituali schegge di nonnismo quali versargli di nascosto sale nella Coca Cola e rifilargli burro semi-sciolto al posto del gelato. Era già tanto che Taylor avesse giocato running back, del resto: solo a metà settembre, dopo la quarta partita della stagione, lo staff aveva deciso di mantenere nel ruolo di running back invece di spostarlo a safety, idea balenata durante il precampionato quando ci si era accorti che i defensive back dignitosi erano pochi e inesperti. Nel 2007 Taylor si ruppe il braccio alla seconda partita, e rientrò dopo cinque gare di assenza mettendo assieme 576 yards, ancora secondo alle spalle di Sheets, e ottenendo anche il primato personale con 157 yards contro Northwestern. Nel 2008 era destinato ancora ad essere seconda scelta - per modo di dire, dato l'alto numero di portate di palla - dietro a Sheets, ma si distrusse il legamento crociato anteriore e fu costretto a saltare tutta la stagione e la sessione primaverile di allenamenti del 2009, prima di riprendere proprio nell'agosto del 2009, il suo quinto anno di college. Non è un errore: gli anni di gioco concessi per regolamento sono quattro, ma la Ncaa, che sovrintende allo sport universitario, può concedere una o più stagioni aggiuntive per circostanze particolari, la più frequente delle quali è proprio l'infortunio. Ecco perché il Comeback, il Ritorno del 2009 fu così apprezzato e gradito: Jaycen pareva un miracolato anche solo ad essersi ripreso in relativa fretta, ed è per questo che numeri relativamente modesti come le 387 yards corse (ma a 5.5 a botta), le 11 ricezioni (48 in totale in tre anni, non tantissime…) servirono comunque a scolpire di lui un bel ricordo tra i tifosi e lo staff, che nel corso degli anni aveva apprezzato la sua disponibilità a rendersi utile in ogni maniera, anche negli special team, in cui eccelleva sia in fase attiva sia in fase… passiva, vedi il punt bloccato a Indiana il 17 novembre del 2007. Visto al college anche con chiome particolarmente creative, a Parma Taylor/Spears è diventato, citando le parole del giornalista Stefano Manuto, «uno di noi, lo vedi girare in bicicletta», che è poi una delle chiavi per l'ingresso in città non solo con il corpo, ma anche con lo spirito. Resta il dettaglio, di primo piano, dell'Italian Super Bowl di sabato sera, da vincere, in casa.

La storia di Jordan Scott


Chiedevano tutti quella cosa, e dava fastidio. Dieci giorni in cui nessuna linea d'attacco poteva aprirti la strada valevano, per alcuni, più di quattro anni di grandi prestazioni e soprattutto di comportamenti da studente universitario, dunque saltuariamente sciocco, ma certamente non criminale.
L'istinto da Animal House era saltato fuori un sabato sera di dicembre del 2007, dopo una festa durata forse troppo. Jordan Scott non aveva sonno e al ritorno verso il collegio studentesco di Colgate University dove alloggiava entrò con un compagno di squadra in un altro edificio, la Russell House, che ospitava studentesse. I due, troppo allegri, cominciarono a percorrere i corridoi e dare piccole spinte alle porte delle camere. Dopo un po' ne trovarono una aperta, entrarono e nel buio cominciarono a rovistare in un cassetto. Ma la stanza non era vuota: c'erano due ragazze che al rumore si svegliarono e cominciarono a urlare. Scott e il compagno si resero conto subito - prima, evidentemente, lo spirito cazzeggiatore aveva avuto il sopravvento - di avere commesso una stupidaggine, ma era troppo tardi. Il giudice li condannò a 21 giorni di prigione e un anno di condizionale, riducendo però la sentenza a soli (?) 10 giorni da trascorrere non in un carcere ma in una sorta di riformatorio per ventenni, senza sbarre e con il semplice obbligo di residenza. Un'onta per un ragazzo come Scott che da quel momento dovette subire le prese in giro dei tifosi avversari e le insinuazioni dei soliti pavidi-anonimi sul web e si sentiva però così diverso dal personaggio che alcuni dipingevano: scriveva poesie e racconti brevi, stava lavorando al diploma in inglese con specializzazione in scienze umanistiche e aveva sempre detto di voler diventare qualcosa più di un "semplice" giocatore di football, perché «non voglio fermarmi a quello», parole dette al New York Times in un ritratto dell'ottobre 2008. Ritratto che, correttamente, poneva l'arresto e la morbida detenzione in un angolo e non come nucleo centrale dell'esistenza di Scott, fermo restando che la maggioranza delle persone, anche a 20 anni, non si fa indurre nelle stupidate in cui il ragazzo era cascato. Ma il NY Times si era interessato a lui per altro: cioé per le sue eccelse doti di giocatore, unite al buon carattere e agli interessi elevati in campo accademico, compresa quella "scrittura creativa" che è oggetto misterioso ma fonte di lucro, almeno in Italia, per laboratori serale con fighetti a insegnare e 40enni ad adorare. In campo però Scott passava dai ditirambi ai frontini, nel senso di stiff arm, il braccio teso con il quale il portatore di palla tiene lontano l'avversario che lo intende placcare: zero poesia, anzi una carnalità vigorosa che gli diede, con la maglia dei Raiders, statistiche mai viste. Letteralmente: dopo i rituali quattro anni, Scott uscì con 5621 yards, record assoluto per Colgate e quinto di tutti i tempi nella Ncaa; nel 2007 ebbe 1875 yards, primo assoluto nella Ncaa; ed ebbe otto partite con almeno 200 yards. Anche se il livello della competizione era un gradino al di sotto di quello dei grandi college, Scott aveva doti non incastrabili in localizzazioni gerarchiche: era un runner istintivo ma tosto, di quelli che all'arrivo del difensore provano con le cattive maniere di scrollarserlo di dosso, prima che con le buone. In più, come sottolineò il suo coach Dick Biddle, «nell'ultimo quarto di gioco rende più che nel primo, grazie anche alla perfetta preparazione fisica». Non rapidissimo (ma agile di gambe), non sgusciante, non eccellente nel riconoscere i pericoli quando restava a proteggere il quarterback sui lanci, aveva una fisicità tale che Biddle, dopo averlo visto all'opera nei primi allenamenti nel 2005, aveva pensato di spostarlo a linebacker, insomma in difesa. «E questa - disse poi il coach al Times strizzando l'occhio per l'imbarazzo - sì che sarebbe stata una grande idea!». Che però non fosse arrivato a Colgate con tanta pubblicità era vero. Cresciuto nella zona tra Washington e Baltimore, a 2 anni si era gravemente ustionato le mani poggiandole per sbaglio su un piano di cottura rovente, e per qualche settimana la madre Stacey Scott-Hill aveva temuto conseguenze gravi per l'uso degli arti. Tutto si era sistemato e Jordan a 7 anni aveva cominciato a giocare a football, trovandosi poi a 10 a dover... dimagrire per poter rientrare nella categoria di peso prevista per i suoi coetanei. Alla DeMatha High School di Hyattsville, nel Maryland, poco distante da casa, era stato ottimo sia come running back sia come linebacker, e stiamo parlando di un liceo tra i più rinomati degli Usa sia per il basket (il coach era il leggendario Morgan Wootten) sia per il football. La non esaltante velocità di base però gli aveva precluso offerte di borse di studio da parte di college di primo piano. Cincinnati e William&Mary, a lui graditi rispettivamente per solidità nel football e rilevanza accademica nelle materie umanistiche, prima prospettarono poi ritirarono la proposta, e tra le rimanenti, Georgetown (che nel basket conta molto e nel football conta poco) e Colgate, Jordan scelse la seconda perché più lontana da casa, situata anzi in una parte rurale dello stato di New York, e dunque adatta a chi voleva distanziarsi da amicizie potenzialmente pericolose, di quelle che restando nella zona in cui sei cresciuto non puoi troncare pena l'accusa di alto tradimento. La spinta fondamentale era venuta durante un camp per liceali svoltosi al campo della Maryland University: i Terrapins non erano interessati a lui ma lo era un assistente allenatore di Colgate che, dopo avere spiegato al ragazzo cosa volesse dire 'Gate Football gli fece l'offerta di borsa di studio. Tutta roba di seconda fila, però: al suo primo anno, Scott non figurava nemmeno nell'annuario della squadra perché si era dimenticato di compilare il modulo con i dati anagrafici e le curiosità che gli era stato spedito dall'ufficio stampa. In più, aveva iniziato come terzo running back e membro unicamente degli special team, importantissimi per ogni squadra ma luogo di dannazione per chi sente di valere di più. A metà della terza partita, contro Dartmouth, il titolare Steve Hansen e la sua riserva si fecero male e lo staff mandò in campo Scott, scegliendo come schema uno screen pass, quei passaggi corti nei quali si permette ai difensori di arrivare fino al quarterback che un attimo prima di essere placcato passa al running back che ha così la strada più aperta. Scott conquistò 8 yards ma fu placcato così duramente da finire con le gambe all'aria «tanto che finii su Youtube», disse poi all'Associated Press. La seconda volta che toccò la palla però si divorò 33 yards segnando un touchdown, senza più fermarsi, tra riconoscimenti individuali e record. Troppo lento per la Nfl, adesso è ai Warriors Bologna, con i quali nella regular season ha conquistato 1173 yards in 157 tentativi, una media di 7.5 a portata e 130.3 a gara. È anche lui uno dei motivi per cui i bolognesi possono concretamente sperare di allungare a 11 la serie di vittorie stagionali, e dunque aggiudicarsi lo scudetto: al gioco di lancio di Eric Marty si abbina il robusto gioco di corsa creato da Scott, 24 anni, e dai suoi bloccatori, e quando sei in vantaggio ti mangi anche parecchi minuti avvicinandoti a fine partita.
Ah, mancava una cosa, il nome del compagno di squadra che si intrufolò nella stanza del college con lui: David Morgan. Che lo scorso anno ha giocato a Catania. Ma tu guarda.

giovedì 30 giugno 2011

martedì 28 giugno 2011

Gioco di squadra, ecco il libro

Edito da Red@zione con il patrocinio della FIDAF, è uscito da pochi giorni Manuale per conoscere l'ABC e per creare una squadra, di Sergio Brunetti e Marco Garrone. Un volume di 64 pagine, del costo di 10 euro, che come spiega il sottotitolo illustra la struttura e l'organizzazione di un club nelle sue varie forme e aspetti. Una sorta di guida passo per passo che parte dall'illustrazione del football come sport e arriva alla divisione dei compiti e delle responsabilità di una società, a prescindere dalla sua grandezza. Sembra strano, ma tutto questo non c'era, specialmente nel football.
Per maggiori informazioni andare qui.

Ecco il Brock Olivo versione UFL

È facile capire come mai ci sia un clima di particolare effervescenza all'interno delle squadre della UFL, la United Football League. Con il lockout NFL tuttora in corso, l'unica altra lega statunitense professionistica al cento per cento gode di qualche spazio in più sui media, anche se siamo sempre prossimi allo zero ed è un peccato, anche se inevitabile: la NFL in fondo fa notizia anche quando non c'è, tra resoconti sul lockout stesso e analisi tattiche a prescindere dall'imminenza o meno della ripresa del gioco. La stagione UFL partirà sabato 13 agosto per una regular season di otto gare per ciascuna delle cinque squadre: Hartford Colonials, Las Vegas Locomotives, Omaha NightHawks, Sacramento Mountain Lions e Virginia Destroyers. Qualche giocatore di buon livello approfitterà della UFL per rilanciarsi in prospettiva NFL, altri prolungheranno semplicemente la loro carriera sportiva anziché abbandonarla dopo il college come fa la maggioranza dei giocatori, e poi ci sono gli incroci personali e professionali che costituiscono il nerbo di ogni squadra, con ex protagonisti del college come Eric Crouch, quarterback ma anche ricevitore e safety vincitore dell'Heisman Trophy dieci anni fa e inattivo da quattro dopo essere passato anche per l'Europa, ora messo sotto contratto dai NightHawks che sono la squadra della sua città. Anche negli staff c'è di tutto: gli espertissimi come Tom Olivadotti e i lanciati come alcuni assistenti. E allora viene facile, con poca obiettività e una corposa percentuale di affetto, ribadire i migliori auspici per Brock Olivo, l'ex giocatore e coach visto per tanti anni da noi. Brock è partito di tutta fretta, a fine maggio, per entrare nello staff di Omaha. Per qualche giorno ci eravamo preoccupati nel non vederlo materialmente nell'organico ufficiale del sito dei NightHawks, ma un rapido botta e risposta con chi è là ha chiarito il dubbio, non particolarmente edificante se si considera che certe cose non dovrebbero accadere in un sito di una franchigia pro: di fatto, la pagina con lo staff non viene aggiornata da settimane, per cui non solo Brock non compare tuttora, ma figurano due altri assistenti, Vince Marrow and Kirk Doll, che sono già altrove, e dalla lista manca anche Richard Kent che allena i kicker e i punter. Un po' di caos, insomma, ma intanto ecco la prima foto di Brock Olivo (per gentile concessione degli Omaha NightHawks) mentre osserva uno dei "suoi", il running back Shaud Williams, alla seconda stagione a Omaha.

venerdì 24 giugno 2011

Clarence Clemons, football player

Misteriosa la costante citazione di Clarence Clemons, il sassofonista della E Street Band di Bruce Springsteen morto la scorsa settimana, come ex "linebacker". Giocava infatti centro e guardia in attacco e tackle in difesa, e proprio nella prima veste ebbe un legame diretto con Emerson Boozer, running back poi vincitore del Super Bowl III con i New York Jets, in quanto gli apriva la strada con i suoi blocchi. Ricorderete che Clemons fu parte dello spettacolo dell'intervallo del Super Bowl di Tampa del febbraio 2009: curiosità personale è che con la troupe RAI eravamo allo stadio al venerdì, a registrare servizi da mandare in onda prima della partita, e dovemmo un paio di volte interromperci perché nel grande tendone adiacente all'area riservata ai media si stavano svolgendo le prove del concerto e il frastuono entrava persino nei microfoni individuali. Anche se non sono mai stato un tifoso di Springsteen e in generale considero la musica un passatempo gradevole ma non una passione, credo sia stata l'unica volta che la sua band ha infastidito qualcuno.

domenica 12 giugno 2011

Finale della BCS: il logo

Nella turnazione annuale delle sedi in cui si gioca il Championship Game della BCS, in soldoni la finale di college, nel 2012 tocca a New Orleans e al suo superbo Superdome, nella serata di lunedì 9 gennaio. Cioé sei giorni dopo il Sugar Bowl, che come noto si disputa nello stesso impianto. Città sopravvalutata, perché apprezzabile solo in piccole aree - non tutte però di normale passaggio turistico - e sporca e disordinata in molte altre, New Orleans è comunque un luogo molto particolare per via della cultura, che risente di molti incroci etnici e ha dato vita tra l'altro ad un tipo di musica molto godibile, emanata direttamente dalla parte cajun, cioé francofona, della regione.
Quello che vedere è il logo del BCS Championship Game, e sarà la 23esima volta nella storia che una squadra diventerà campione NCAA con una vittoria al Superdome: per 18 volte si è trattato della vincitrice del Sugar Bowl proclamata campione nazionale dalle famose graduatorie giornalistiche e stilate da coach, mentre nei tre casi precedenti si è trattato semplicemente della vincente del Championship Game. L'ultima volta, nel 2008, quando Louisiana State - che ha sede a Baton Rouge, a un'oretta d'auto da New Orleans - superò Ohio State 38-24. Il quarterback di LSU quel giorno era Matt Flynn, vice di Aaron Rodgers nei Green Bay Packers.

sabato 11 giugno 2011

Italian Super Bowl su Eurosport

Notizia di ieri anche se chi al progetto lavorava sul piano giornalistico lo dava per certo già da una settimana: l'Italian Super Bowl di Parma del prossimo 9 luglio andrà in onda non solo su Raisport ma anche su Eurosport2, il canale satellitare visibile in tutta Europa. La differita è prevista per il 21 luglio alle ore 17. Un motivo in più per sperare che sia una grande partita. Le premesse sono già quelle per due grandi semifinali, del resto...

giovedì 9 giugno 2011

IFL Magazine su Raisport1

La puntata di giovedì 9 giugno è prevista alle 22.30. Partite di cui si vedrà la sintesi: Marines-Warriors, Doves-Rhinos, Hogs-Dolphins (nella foto di Manuela Pellegrini, uno dei cinque touchdown di Niles Mittasch).

lunedì 6 giugno 2011

L'ex amico dei giocatori



È antico costume dei giocatori che arrivano al Super Bowl riprendere la scena e le scene con le loro telecamerine. In passato erano quelle con la cassetta VHS normale o mini, poi con il DVD, e da qualche anno siamo al digitale. Al Super Bowl di Dallas una quantità sorprendente di giocatori (nella foto in alto, Aaron Rodgers) teneva in mano il Flip Mino della Sony, un gadget di cui posso tranquillamente parlare senza timori di fare pubblicità occulta (o diretta) perché è ora fuori produzione, anzi questo articolo nasce proprio per riferire della progressiva sparizione di quel piccolo strumento, che a suo modo è stato una icona. Com'era la qualità del Mino? Eccola qui sopra, nella ripresa che ho fatto l'estate scorsa al training camp dei Green Bay Packers.

domenica 5 giugno 2011

Vogliamo Brock!

Questo lo staff degli Omaha Nighthawks aggiornato al 3 giugno. Chiedersi perché non sia ancora stato aggiunto il nome del "nostro" Brock è il minimo. Non è un bel segnale per gli uffici stampa della UFL e dei Nighthawks che un ritocco alla pagina richieda giorni e giorni.

mercoledì 1 giugno 2011

Esce il mio libro

Si chiama Football & Texas, 300 pagine su cui ho perso la vista, o quasi. Un anno di lavoro, una quantità di materiale immensa concentrata in quelle pagine e... altrettanta rimasta fuori, altrimenti sarebbe venuta un'enciclopedia. Potete trovare informazioni più complete qui, se volete. E grazie.

IFL Magazine su Raisport1

La puntata di domani, giovedì 2 giugno, è prevista per le 22.30. Comunicherò subito eventuali variazioni. nella foto, Matteo Guerra dei Warriors segna il field goal decisivo nella trasferta di Ancona, un gesto tecnico purtroppo visto da pochi: tutti gli altri erano già svenuti per l'alternanza selvaggia di punteggio negli ultimi due minuti.

martedì 31 maggio 2011

Vinny Argondizzo coach della Nazionale

Eh sì, era Vinny Argondizzo il nome che era filtrato sabato scorso, e di cui non avevo rivelato l'identità, per rispetto della persona che me lo aveva rivelato. Vinny Argondizzo, ufficializzato oggi come nuovo coach del Blu Team, della Nazionale italiana. Una persona squisita che macina football da tanti anni, al punto da essere stato allenatore del sottoscritto per breve tempo, prima che il buon senso mi consigliasse - malamente - di pensare ad altro. In bocca al lupo a Vinny, che come dimostrano i risultati dei Warriors di quest'anno sa allenare e delegare con successo.

lunedì 30 maggio 2011

Mentalità diversa

Oggi negli Stati Uniti è il Memorial Day. Ovvero il giorno in cui si ricordano i caduti di tutte le guerre. Festa che nulla ha a che fare con l'Italia, ovviamente, anche se viene celebrata dagli americani ospiti dei nostri campionati dei vari sport, compreso il football. Disciplina che negli USA è da sempre - anche a livello di NFL - vicina alle forze armate. Io non festeggio mai nulla, nemmeno le feste comandate, che giudico una perdita di tempo e un'espressione di retorica, figuriamoci allora se festeggio una ricorrenza americana: ma apprezzo certe giornate più di altre, per ovvi motivi. Inserisco qui un video molto significativo: ero all'aeroporto di Atlanta e questa fu la reazione dei presenti all'arrivo dal Medio Oriente di un gruppo di militari. Ripeto quanto già scritto altrove: è da escludere che i passeggeri in partenza o in attesa fossero tutti guerrafondai, più semplicemente si tratta di persone che apprezzano il sacrificio altrui. Visto da qui, dalla patria dell'insulto politico e dei banchetti rovesciati a chi non la pensa come te, uno scenario che fa impressione.

Suh al nord

Ndamukong Suh, il grande DT dei Detroit Lions, è in vacanza a Venezia e proseguirà poi verso Firenze e Roma. Per strada non dovrebbe essere difficile riconoscerlo.

venerdì 27 maggio 2011

Ricordi



Già messi online nell'altro mio blog, ecco alcuni flash del passato. Le scansioni della copertina e di due pagine del playbook difensivo dei Towers Bologna del 1986, la mia squadra. La scrittura nella pagina che porta in alto le parole Tiger Forte "G" è la mia, ma è un caso: che io mi ricordi, schemi e coperture non erano farina del mio sacco, mi ero semplicemente prestato a dare una mano a metterli giù con ordine. E comunque in partita ricordavo solamente quelli base e mi dimenticavo subito quelli complicati, compresi quelli che io stesso avevo trascritto. Molto bene...

La partenza di Brock Olivo

E allora sì, Brock Olivo parte. Grande giocatore a Missouri - devo avere già riferito il ricordo che di lui aveva Jon Hoke, il coach dei defensive back dei Chicago Bears venuto a Milano in marzo e suo allenatore al college - e ottimo capitano degli special team dei Detroit Lions per cinque anni, poi giocatore in Italia, allenatore dei Marines e della Nazionale (nella foto sotto, di Giulio Busi), parte integrante di una visione diversa del football, che lui ha sempre voluto, in Italia, praticato da dilettanti che si comportano però come professionisti. Adesso va ad allenare i running back degli Omaha Nighthawks della United Football League, in un posticino - il Nebraska - non tanto differente dal suo Missouri con il quale parzialmente confina, anche se tra Omaha e Hermann, città in cui è cresciuto, ci sono oltre sei ore d'auto e quasi 600 chilometri di distanza via Kansas City. Nello staff dei Nighthawks non compare ancora ufficialmente, ma probabilmente la pagina web cambierà tra poche ore. Il suo head coach sarà Joe Moglie, che a giudicare dalla biografia è un personaggio particolare: per 16 anni allenatore e assistente di college e high school di alto livello, era poi passato al mondo degli affari nel campo degli investimenti e per oltre vent'anni è passato da un successo professionale all'altro, chiudendo con sette anni come amministratore delegato di TD Ameritrade, una holding finanziaria che sotto di lui ha aumentato il proprio valore e quello delle azioni dei propri clienti, a giudicare da quel che si legge. Nel 2008 Moglia, avendo evidentemente messo da parte somme di denaro sufficienti a garantirsi una vita stabile, aveva deciso di lasciare il posto e tornare a occuparsi di football, come executive advisor di Bo Pelini, il coach di Nebraska, e qui bisognerebbe capire esattamente cosa faccia chi ricopre tale ruolo, perché "consulente esecutivo", che sia traduzione libera o meno, non vuol dire nulla di identificabile. Tornando all'argomento base di questo articolo, ho conosciuto Brock tardi, per via della mia lontananza forzata e sgradevole dal football italiano, e sarei patetico se ne parlassi in maniera diffusa, dato che molto meglio di me può farlo chi con lui ha giocato o da lui è stato allenato, nei Marines o nel Blue Team. Posso solo dire brevemente del Brock televisivo, con cui ho lavorato lo scorso anno a Dahlia Tv e che avevo finalmente conosciuto l'anno prima al Super Bowl di Miami. Con lui ho fatto una sola telecronaca (New England-Minnesota), ma mi sono divertito infinitamente: perché avido come sono di tecnica e tattica mi potevo sfogare a porgli domande e sollecitare osservazioni, come del resto ho cercato di fare altre volte, quando semplicemente ci incrociavamo prima di lavorare in orari differenti e una sera si presentò con la polo di Missouri per onorare il suo ex college, vittorioso contro Oklahoma il giorno prima. Alla fine di quel Pats-Vikings aveva fatto una considerazione, a proposito della telecronaca, i cui particolari preferisco tenere per me (ho già detto fin troppo) ma che mi aveva illuminato la serata, ed era bello ascoltare le sue riflessioni sui vari giocatori NFL che capitava di menzionare in quegli attimi prima di tornare a casa o andare in onda, dialoghi tra chi era interessato a quegli argomenti per passione, prima ancora che per lavoro.

Devo in chiusura fare una piccola confessione e considerazione. La notizia della partenza di Brock (senza però che mi fosse stato specificato il suo prossimo incarico) mi era stata data sabato scorso dopo Warriors-Elephants, da una persona che mi aveva chiesto riservatezza ancora per qualche giorno, diciamo fino a fine mese. Se qualcuno mi chiede un impegno del genere, io lo prendo, come essere umano: sarà anche vero, come diceva anni fa un mio collega, che «tutti sanno il mestiere che faccio, e se mi dicono una cosa non possono poi lamentarsi se la pubblico», ma qui c'era stata una richiesta esplicita di embargo, fatta da persona a persona amica e non da addetto ai lavori a giornalista, e inoltre non si trattava di una notizia sconvolgente sul piano globale, dato che purtroppo quel che succede nel mondo del football non fa traballare il resto dello sport italiano. Poi giovedì è successo tutto ed è giunto il comunicato della federazione e alla fine arrivo a scrivere di Brock non prima dell'ufficialità ma addirittura alcune ore dopo, ma pazienza: non me ne è mai fregato nulla degli scoop e il rispetto della richiesta che mi era stata fatta vale più di qualsiasi affanno a dimostrare chissà che. Del resto, per una volta che vengo a sapere qualcosa in anticipo ce ne saranno dieci in cui questo non accade e la vita, mia e degli altri, resterà immutata. Ed è per questo motivo che il nome del futuro coach della Nazionale, o perlomeno del massimo candidato a ricoprire quell'incarico, me lo tengo per me. Il rispetto è rispetto. Poi magari quando si potrà dire ne parleremo, sempre che si capisca quando.

mercoledì 25 maggio 2011

IFL Magazine su Raisport1 - attenzione!

La puntata di domani, giovedì 26 maggio, è prevista per le ore 18.47. Precise... :-)
L'analisi filmata di quattro partite: Rhinos-Giants, Warriors-Elephants, Seamen-Dolphins e Panthers-Marines (nella foto di Manuela Pellegrini, Alessandro Canali tenuto per la maglia da Simone Moroni).

Pistole e indiani. Finti

Pubblicato sul sito di Raisport.

L'assurda vicenda di un coach di football porta alla mente altre tattiche bizzarre per caricare squadre o giocatori

La Banneker High School è un liceo di buona reputazione situato a College Park, sobborgo meridionale di Atlanta, ma non tutto quel che vi avviene risponde a corretti criteri educativi. Un matto può esserci ovunque e può superare ovunque i test di ammissione… e stiamo parlando dei professori, non degli studenti.
Professori cui sono equiparati, anche se con forme e livelli diversi, allenatori e assistenti delle squadre di football, basket e baseball. L'altra settimana un membro dello staff del football, il 36enne Kevin Pope, è stato cacciato per avere cercato di esortare un giocatore-studente ad applicarsi di più sui libri con un metodo non innovativo e certo non troppo ortodosso: puntandogli contro una pistola ad aria compressa, di quelle che sparano pallini innocui ma paiono armi a tutti gli effetti.
Arrestato, Pope è stato allontanato dalla scuola con questa macchia sul curriculum, ma il curioso episodio non può che portare con la memoria ad altri tentativi farseschi di far coraggio ad una squadra. Gli esempi sarebbero tantissimi, ma uno in particolare può far crollare dal ridere. Si verificò nel mondo del football liceale del Texas, un mondo dove l'attenzione è strenua: si noterà nella foto la quantità di pubblico al Cowboys Stadium per la finale di categoria AAAA del 2010 tra la Lake Travis e la Ryan. Ebbene, nel 1975 il coach della Abilene High School, Bill Shipman, chiese a un tizio che vestito da pellerossa faceva la mascotte di un college di arrivare improvvisamente all'allenamento, piantare la lancia nel palo della porta e scomparire, sempre a cavallo, come se fosse lo spirito "indiano" Aquilla che Shipman aveva spesso evocato con i suoi.
Era la settimana del "derby" con la Cooper High School e il coach voleva caricare i giocatori. Solo che la mascotte non arrivò mai, sebbene Shipman avesse protratto l'allenamento fino quasi al tramonto. Tornato a casa deluso, accese il televisore e vide sul notiziario locale un'intervista al coach della Cooper, insomma il coach rivale: che al cronista disse «lei non ha idea di quel che è successo oggi al nostro allenamento. È entrato in campo un indiano a cavallo e…». Sì, si è già capito: la mascotte aveva eseguito il suo compito, ma aveva sbagliato campo!

giovedì 19 maggio 2011

Roma Bowl

IFL Magazine su Raisport1

La puntata di questa sera è prevista per le 22.30. Sintesi di quattro partite: Elephants-Marines, Hogs-Panthers, Warriors-Doves, Giants-Dolphins.

martedì 17 maggio 2011

Le foto del giorno




Queste sono foto che ho scattato in passato (il running back che intervisto, e che probabilmente sotto quelle lenti a specchio era a occhi sbarrati per la mia capigliatura, è George Rogers dei Washington Redskins, al Super Bowl XII), e che sfruttando un raro momento libero ho potuto scansionare. Ho in previsione di scansionarne altre. Mi è rimasto invece in canna il commento di Warriors-Doves, vista sabato alla Lunetta Gamberini. Scriverlo ora sarebbe patetico, credo. Il giocatore con l'asciugamanino è Mark Jackson dei Denver Broncos, sempre al Super Bowl XII: si tratta di un regalo del ricevitore #80 dei Towers Bologna che gli avevo appena consegnato. La foto a campo largo è quella deL touchdown di Ricky Sanders, 80 yards, nel secondo quarto di quel SB, che come noto i Redskins vinsero 42-10 con 35 punti proprio nel secondo quarto, dopo essere andati sotto 10-0 nel primo. Fu il mio Super Bowl, e credo che nessuno dei cortesi lettori possa biasimarmi se dico che non lo dimenticherò MAI. Era anche la prima volta che andavo negli Stati Uniti: prima volta negli USA e prima volta al Super Bowl. Da rimanerci secchi.