E allora sì, Brock Olivo parte. Grande giocatore a Missouri - devo avere già riferito il ricordo che di lui aveva Jon Hoke, il coach dei defensive back dei Chicago Bears venuto a Milano in marzo e suo allenatore al college - e ottimo capitano degli special team dei Detroit Lions per cinque anni, poi giocatore in Italia, allenatore dei Marines e della Nazionale (nella foto sotto, di Giulio Busi), parte integrante di una visione diversa del football, che lui ha sempre voluto, in Italia, praticato da dilettanti che si comportano però come professionisti. Adesso va ad allenare i running back degli Omaha Nighthawks della United Football League, in un posticino - il Nebraska - non tanto differente dal suo Missouri con il quale parzialmente confina, anche se tra Omaha e Hermann, città in cui è cresciuto, ci sono oltre sei ore d'auto e quasi 600 chilometri di distanza via Kansas City. Nello staff dei Nighthawks non compare ancora ufficialmente, ma probabilmente la pagina web cambierà tra poche ore. Il suo head coach sarà Joe Moglie, che a giudicare dalla biografia è un personaggio particolare: per 16 anni allenatore e assistente di college e high school di alto livello, era poi passato al mondo degli affari nel campo degli investimenti e per oltre vent'anni è passato da un successo professionale all'altro, chiudendo con sette anni come amministratore delegato di TD Ameritrade, una holding finanziaria che sotto di lui ha aumentato il proprio valore e quello delle azioni dei propri clienti, a giudicare da quel che si legge. Nel 2008 Moglia, avendo evidentemente messo da parte somme di denaro sufficienti a garantirsi una vita stabile, aveva deciso di lasciare il posto e tornare a occuparsi di football, come executive advisor di Bo Pelini, il coach di Nebraska, e qui bisognerebbe capire esattamente cosa faccia chi ricopre tale ruolo, perché "consulente esecutivo", che sia traduzione libera o meno, non vuol dire nulla di identificabile. Tornando all'argomento base di questo articolo, ho conosciuto Brock tardi, per via della mia lontananza forzata e sgradevole dal football italiano, e sarei patetico se ne parlassi in maniera diffusa, dato che molto meglio di me può farlo chi con lui ha giocato o da lui è stato allenato, nei Marines o nel Blue Team. Posso solo dire brevemente del Brock televisivo, con cui ho lavorato lo scorso anno a Dahlia Tv e che avevo finalmente conosciuto l'anno prima al Super Bowl di Miami. Con lui ho fatto una sola telecronaca (New England-Minnesota), ma mi sono divertito infinitamente: perché avido come sono di tecnica e tattica mi potevo sfogare a porgli domande e sollecitare osservazioni, come del resto ho cercato di fare altre volte, quando semplicemente ci incrociavamo prima di lavorare in orari differenti e una sera si presentò con la polo di Missouri per onorare il suo ex college, vittorioso contro Oklahoma il giorno prima. Alla fine di quel Pats-Vikings aveva fatto una considerazione, a proposito della telecronaca, i cui particolari preferisco tenere per me (ho già detto fin troppo) ma che mi aveva illuminato la serata, ed era bello ascoltare le sue riflessioni sui vari giocatori NFL che capitava di menzionare in quegli attimi prima di tornare a casa o andare in onda, dialoghi tra chi era interessato a quegli argomenti per passione, prima ancora che per lavoro.
Devo in chiusura fare una piccola confessione e considerazione. La notizia della partenza di Brock (senza però che mi fosse stato specificato il suo prossimo incarico) mi era stata data sabato scorso dopo Warriors-Elephants, da una persona che mi aveva chiesto riservatezza ancora per qualche giorno, diciamo fino a fine mese. Se qualcuno mi chiede un impegno del genere, io lo prendo, come essere umano: sarà anche vero, come diceva anni fa un mio collega, che «tutti sanno il mestiere che faccio, e se mi dicono una cosa non possono poi lamentarsi se la pubblico», ma qui c'era stata una richiesta esplicita di embargo, fatta da persona a persona amica e non da addetto ai lavori a giornalista, e inoltre non si trattava di una notizia sconvolgente sul piano globale, dato che purtroppo quel che succede nel mondo del football non fa traballare il resto dello sport italiano. Poi giovedì è successo tutto ed è giunto il comunicato della federazione e alla fine arrivo a scrivere di Brock non prima dell'ufficialità ma addirittura alcune ore dopo, ma pazienza: non me ne è mai fregato nulla degli scoop e il rispetto della richiesta che mi era stata fatta vale più di qualsiasi affanno a dimostrare chissà che. Del resto, per una volta che vengo a sapere qualcosa in anticipo ce ne saranno dieci in cui questo non accade e la vita, mia e degli altri, resterà immutata. Ed è per questo motivo che il nome del futuro coach della Nazionale, o perlomeno del massimo candidato a ricoprire quell'incarico, me lo tengo per me. Il rispetto è rispetto. Poi magari quando si potrà dire ne parleremo, sempre che si capisca quando.